Casarsa della Delizia, piccolo centro in provincia di Pordenone, si estende a ridosso del Tagliamento in quella tipica pianura che, da qui alla fine del Veneto, è sempre uguale a se stessa eppure ricchissima di sfumature, di luoghi da scoprire, di storie da raccontare. Una di queste rappresenta un vanto per l’intera regione e parla di un intellettuale indomabile, controcorrente, coraggioso: Pier Paolo Pasolini. Anche se egli nacque a Bologna nel 1922, di Casarsa era sua madre, Susanna Colussi, che proprio qui si sposò con il marito Carlo Alberto, tenente di fanteria. Quella di Pasolini fu un’infanzia «nomade», come egli stesso la definì, per i continui trasferimenti dettati dal lavoro paterno: per questo, Casarsa rimase l’unico luogo sicuro della sua gioventù. Un luogo in cui sarebbe tornato più volte nel corso della sua vita.
LA GIOVINEZZA A CASARSA
Dopo una serie di traslochi, la famiglia approda nel 1928 a Casarsa, nella casa dei nonni materni. Il padre è in arresto in caserma per debiti di gioco: la madre, per far fronte alle difficoltà economiche, diventa maestra di scuola. Nonostante ulteriori trasferimenti, Casarsa rimane il luogo delle vacanze. Oggi, casa Colussi è la sede del prestigioso Centro Studi Pasolini, nato nel 2005: il centro, attivissimo con mostre, convegni, iniziative editoriali e servizi audiovisivi, conserva un prezioso fondo archivistico sulla produzione letteraria del periodo friulano, dichiarato nel 2010 bene di interesse culturale. La direttrice, dott.ssa Angela Felice, ci accoglie con una cortesia meravigliosa: fra foto, disegni, quadri, libri e il vivo racconto della direttrice, la figura di Pasolini rivive sotto i nostri occhi.
Nel 1937, la famiglia torna ad abitare a Bologna, dove Pier Paolo frequenta il Liceo classico Galvani. Nel 1939 è all’Università, ma gli eventi precipitano: nello stesso anno, si apre la Seconda Guerra Mondiale. Nel 1941, promosso Maggiore e insignito di alte onorificenze, il padre viene chiamato in Africa orientale: destinazione Gondar, Kenya, dove nel 1942 viene fatto prigioniero (tornerà in Italia solo a guerra finita). Il ‘42 è anche l’anno dell’esordio letterario di Pasolini, con le Poesie a Casarsa. Nel 1943, il nostro è a Pisa per la chiamata alle armi, ma l’8 settembre si trova a Livorno, dove viene sorpreso dall’annuncio dell’armistizio. La decisione è immediata: fuggire a Casarsa per raggiungere i familiari. Ci riesce, a piedi e con mezzi di fortuna: nella fuga, perde la tesi di laurea che aveva preparato con il grande storico dell’arte Roberto Longhi). Si laureerà nel ‘45 con una tesi su Giovanni Pascoli.
GLI ANNI A VERSUTA
Casarsa viene bombardata e anche casa Colussi subisce molti danni: mamma e figli si spostano quindi a Versuta. Qui, Pier Paolo istituisce una piccola scuola gratuita per i paesani: durerà fino al ‘47. Nel frattempo, il fratello minore Guido Alberto entra nella formazione partigiana ‘Osoppo’, ma viene ucciso nell’infame eccidio di Porzus, il 12 febbraio del ‘45. La notizia arriva a Casarsa solo parecchi mesi dopo: è proprio all’amato fratello che Pasolini intitolerà la sua ‘Academiuta di lenga furlana’, fondata il 18 febbraio del ‘45 (e dal ‘46 ospitata in un’ala della casa Colussi) per riunire un gruppo di artisti e dare vita a una vera letteratura in friulano, in opposizione da un lato alle fanfare delle Filologiche, dall’altro al ridicolo folklore che ancora oggi anima molta cosiddetta ‘cultura’ in regione. La scelta del dialetto friulano, nella precisa varietà casarsese, è spiegata da Pasolini in un intervento intitolato Volontà poetica ed evoluzione della lingua: «Il friulano di Casarsa si è prestato quietamente a farsi tramutare in linguaggio poetico, che da principio era assolutamente divelto da ogni abitudine di scrittura dialettale, da ogni interesse glottologico e folcloristico, in una completa dimenticanza di simili problemi. Per me era semplicemente una lingua antichissima eppure del tutto vergine […] Così, la pura parlata dei Casarsesi potè diventare linguaggio poetico senza tempo, senza luogo, tramutarsi in un vocabolario senza pregiudizi». Dunque, una lingua pura: pura come il suo Friuli di rogge, pioppeti, fossati, chiesette rurali, viti, strade sterrate; pura come può essere solo la terra della madre, delle origini remote, del vero e proprio ‘mito’. Tornando oggi a Versuta, sulle orme di Pasolini, ci imbattiamo nella chiesetta locale, dedicata a S. Antonio. Gli affreschi absidali risalgono ai primi del Quattrocento e sono opera di un artista legato all’ambiente di Masolino da Panicale; quelli della parete destra (1370-1380) sono invece attribuibili alla scuola di Vitale da Bologna e Tommaso da Modena. Questi furono scoperti dallo stesso Pasolini, che ne intuì la presenza sotto l’intonaco e che, aiutato dai suoi allievi, li portò alla luce sfregando cipolle sopra lo strato di bianco, su consiglio dell’amico pittore Federico De Rocco. Il figlio di quest’ultimo, Paolo, ha rimesso in piedi e rinnovato la minuscola fontana che il poeta cantò in apertura della raccolta La meglio gioventù (1954): Fontana di aga dal me país / A no è aga pí frescia che tal me país. / Fontana di rustic amòur.
PASOLINI A VALVASONE
Nel 1947, la famiglia fa ritorno nella casa di Casarsa e Pier Paolo si avvicina al PCI (ma non sarà mai tesserato di nessun partito), iscrivendosi alla cellula di S. Giovanni: sotto la loggia porticata del paese, assieme ai suoi compagni, appende i tazebao di propaganda politica. Alla fine dell’anno, ottiene la cattedra di materie letterarie nell’allora scuola media (oggi elementare) di Valvasone, borgo incantato di epoca medievale a pochi chilometri da Casarsa. Per Pasolini, è «la città del silenzio»: ancora adesso, camminando per le vie del paese, non si può che dargli ragione. «Entro dalla porta di ponente. Mi volgo di colpo: oh dolce scenario! Il pozzo danza sul prato verdenero col suo marmo bagnato»: ed eccolo, infatti, l’antico pozzo, sotto la splendida mole del Castello, nell’omonima piazza. Con l’eco di queste parole, passeggiamo contemplando chiesette (imperdibile quella dei SS. Pietro e Paolo), ruscelli, mulini, antiche mura, fino ad arrivare al duomo, che ci rapisce con il suo fantastico organo del Cinquecento, le cui porte sono state dipinte su entrambi i lati da Pomponio Amalteo, uno dei massimi esponenti del Rinascimento friulano.
DOPO IL FRIULI
Il congedo di Pasolini da Valvasone, e dal Friuli tutto, è traumatico: nel 1949, viene denunciato per corruzione di minori e atti osceni in luogo pubblico. Da questa infamante accusa sarà assolto nel 1952, ma intanto è già stato cacciato dall’insegnamento ed espulso dal PCI. Il 28 gennaio del 1950, Pier Paolo e Susanna fuggono a Roma all’insaputa di Carlo Alberto, che li raggiungerà appena l’anno dopo. Con l’ottenimento, nel dicembre ‘51, della cattedra di lettere a Ciampino, Pasolini finalmente conquista una minima stabilità economica che gli permette di dar vita ai suoi progetti artistici. Dopo le prime pubblicazioni friulane, infatti, la sua attività si fa ricchissima: ed ecco fiorire, nel giro di vent’anni, poesie, romanzi, traduzioni, saggi, articoli giornalistici, sceneggiature per il cinema, regie di film, opere teatrali, documentari, programmi radiofonici. In ogni ambito, capolavori che hanno fatto la storia: ricordiamo solo, poiché girata nella nostra laguna di Grado, la pellicola Medea, con protagonista una grande Maria Callas. Ma nell’Italia degli Anni di Piombo, la sua è una voce scomoda per molti: odiato da tutti gli schieramenti politici, Pasolini ha il coraggio di denunciare le storture di un’Italia ai suoi occhi sempre più mostruosa. Solo negli ultimi anni stanno emergendo scenari inquietanti sul suo assassinio, avvenuto il 2 novembre 1975 all’Idroscalo di Ostia. Allora, l’episodio venne messo in relazione con l’omosessualità dell’artista: oggi, si parla di omicidio voluto da settori della politica e dell’economia, allarmati per alcune spinose inchieste che Pasolini stava preparando.
L’ULTIMO SALUTO
Quando il cadavere arriva a Casarsa, prima di essere sepolto nel cimitero comunale - ed è da groppo in gola la visita alla tomba -, viene vegliato all’interno della chiesa di S. Croce, dove un altro grande intellettuale friulano, padre David Maria Turoldo, celebra il funerale. Entrandovi oggi, memori di tutto ciò, l’emozione è tanta: nell’abside, le Storie della Croce dipinte dall’Amalteo rendono l’esperienza ancora più intensa. Sulla parete destra notiamo una lapide votiva del 1529, un tempo murata in una chiesa oggi scomparsa, che ricorda l’invasione turca in Friuli di trent’anni prima. L’epigrafe ispirò Pasolini per il dramma teatrale del ‘44 I Turcs tal Friul, dove con i Turchi si allude in realtà ai nazisti. Un inno alla libertà, dunque: lo stesso che Pasolini dipinse su quella porta di legno che abbiamo fotografato in copertina. Il simbolo perfetto di tutta la sua vita.
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