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Anna Limpido

29 Luglio 2022
Reading Time: 3 minutes

Dopo la morte della piccola Diana

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È almeno la quarta volta che scrivo e poi cestino un pezzo dedicato alla vicenda della piccola Diana, morta per abbandono della propria madre. Ogni volta alla rilettura trovo considerazioni sì giuste ma mai più urgenti rispetto al profondo lutto che tutta la nostra società dovrebbe riservare a questa tragedia umana.

Fatti come questi, infatti, non possono essere rubricati come singole sfortune o disgrazie ma debbono necessariamente portarci a riflettere su quale società stiamo costruendo noi tutti, con quali priorità e quali voci invece stiamo mettendo al secondo se non terzo o quarto posto.

Di sicuro, in fondo alla lista, stanno andando i più fragili che anni di impoverimento della sanità pubblica e del welfare ghettizzano di fatto in un mondo parallelo formato da disagi familiari, povertà educativa ed economica, pericolosi e spesso violenti riscatti ed effimeri disincanti.

Ho letto che della piccola Diana esistono poche foto, nessuna (né la sciagurata madre né evidentemente la sua famiglia) la festeggiava, la coccolava, desiderava un ricordo della sua esistenza e della sua crescita. Una gravidanza scoperta mal volentieri e vissuta come un peso dopo, un ostacolo alla vita normale di una donna più “sola” che “single”.

Non oso immaginare in quei 18 mesi di vita quali episodi atroci siano accaduti in quelle quattro mura (di cui temo che quello che ha portato alla morte sia stato solo l’apice) e non oso immaginare quale sia stata l’incuria e la disattenzione della famiglia della madre che, dopo la morte, ha candidamente dichiarato “non ci siamo mai accorti di nulla”. E come loro, i vicini di casa, quelli che se accendi la lavatrice di notte ti segnalano subito all’amministratore, in quel condominio per un anno e mezzo non hanno mai sentito nulla, non urla, non rumori sordi, né stranezze inconciliabili con la vita di una giovane madre.

Non c’è giudizio nelle mie parole ma profonda pena per persone che evidentemente vivono situazioni di disagi familiari così gravi da non accorgersi uno dell’altro, non solo della madre verso la propria figlia, ma anche della madre della madre, di tutta la famiglia assente, della vicina di casa che non ha scorto nulla o, se sì, non lo ha segnalato agli assistenti sociali.

Avevo scritto della fatica di fare la madre che è un impegno difficile tutt’altro che “naturale” in una società poi dove le separazioni prolificano e le madri restano spesso sole e unico punto fermo a cui si aggrappano i propri figli.

Avevo scritto della figura della “madre della madre” che, tradizionalmente giaciglio saggio di cura, sta scomparendo sotto i colpi di una società che le costringe al lavoro fino a tarda età o, se in pensione, sempre più spesso all’egoismo di una propria nuova vita.

Avevo scritto della pressione che grava su una giovane madre che pare non potersi più concedere il lusso di vivere la propria maternità senza la critica generale che impone asettici diktat su “come deve essere una madre” (ovviamente bella, magra, radiosa e abnegata silenziosamente alle proprie fatiche).

Avevo scritto sui mainstream più comuni che hanno spostato l’attenzione generale ai nuovi poveri (di diritti) da quelli reali, oggi dimenticati da tutti e dove invece prolificano i germi delle derive umane.

Avevo scritto sul fatto che i nostri piccoli (bambini, ragazzi, giovani) non sono più al centro di nessuna agenda politica e che nessuno se ne occupa più come priorità. Il loro bene arriva dopo il bene di una madre e di un padre che “hanno diritto di rifarsi una vita”, delle nuove lobby che “hanno diritto ad avere tutela”, dell’economia e del lavoro che li snobba sino all’età matura perché c’è qualcun altro che ha sempre più diritti di loro.

Il nostro sguardo caritatevole sta diventando selettivo e ognuno sceglie (vuoi anche in base alle mode del momento) a chi riservare la sua clemenza umana: chi ai cani, chi a questo e chi a quello, perché incapaci di allargare lo sguardo oltre le classificazioni verso chi, semplicemente, ha bisogno di aiuto.

 

Anna Limpido è Consigliera di Parità della Regione Friuli Venezia Giulia

 

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