Ho letto questo libro due volte: la prima, poco più di un anno fa (l’autrice me l’aveva mandato che sapeva ancora d’inchiostro); la seconda, in questi giorni, per parlarne a memoria fresca.
Allora, dato che mi aveva chiesto un parere, le scrissi le mie impressioni, non un giudizio: in materia, lei conosceva più di me. Se non è noto, assicuro, per esperienza diretta, che, nella nostra scuola, gli insegnanti più preparati nel metodo sono quelli della materna e delle elementari, per usare dei termini accessibili. Sicché, gli “Scussons”, intelligentemente attenti a quanto capita da noi, hanno fatto bene a presentarlo.
Formato volutamente grande, per far risaltare i disegni, il libro si potrebbe definire una sinfonia di scuola e famiglia coi bambini al centro e attori gli insegnanti, i dirigenti e la comunità, in tutta la sua caleidoscopica costituzione.
L’ambiente è apparentemente limitato nello spazio: si parla soprattutto di Versa, di Mariano e Corona, con puntate a Gradisca, ma è come una lente di ingrandimento rispetto a spazi che sono molto, molto più ampi, non fosse altro per i continui accenni agli incontri fra culture.
Detto questo, risulta logica la dedica ai genitori (Caterina e Silvano). Bel disegno di una gatta in copertina, naturalmente di mano infantile e pensiero di Maria Montessori sulla quarta di copertina.
Poi viene una descrizione di Mariano, con le parole poetiche e profonde di Celso Macor. Perché “diario” nel titolo? Perché ci sono le tappe fondamentali della vita professionale di Giovanna Comelli, ma non è una narrazione che specchia la protagonista, che pure c’è, bensì tutto un mondo legato all’educazione dell’infanzia, in cui i protagonisti sono i bambini. Questo aspetto è marcato dai loro 48 disegni, in una fantasmagoria di colori, che fanno venire in mente le opere del grande artista contemporaneo Jean-Michel Basquiat (madre di Haiti, padre portoricano, New York 1960-1988).
Echi della propria infanzia, con esperienze positive, per nulla scontate, poi la Comelli parla del diploma di maestra di scuola; ma, prima della professione durata una vita, dell’esperienza in una fabbrica di compensati a Mariano. Lavoro a catena, dita lise (soprattutto i polpastrelli); il conoscere colleghi di lavoro, che dopo le avrebbero portato a scuola figli e nipoti. Graduatorie, Provveditorato, poi il la: “Assistente di scuola materna”.
Scrive bene la maestra Giovanna, con ottima proprietà di linguaggio: buoni insegnanti, ma soprattutto buone letture, e varie, le sue: quelle per la scuola, quelle per la professione, quelle per i gusti personali e quelle della contemporaneità, dalle riviste ai giornali con uno sguardo sempre alla scuola.
A Mariano va sin dagli inizi, e a Mariano rimarrà, sino alla fine della carriera: un minimo di carriera l’ha fatta, da assistente diventa insegnante. L’incontro con la scuola è molto gradevole: ci va in bici, trova l’edificio immerso nei fiori e nel verde; ci parla delle suore insegnanti, che non sono gelose del loro sapere; ci spiega che cosa sia L’Onairc e come funziona una Scuola dell’infanzia, già Scuola per l’infanzia, già Asilo. Un minimo di carriera, si è detto, ma con corsi, concorsi, esami, dove spuntano i nomi, da lei benedetti, dell’onnipresente Ispettore dott. Odorico Serena e del prof. Renato Jacumin (1941-2012), qui pedagogista, ma con vagoni alle spalle che sono carichi di impegno politico, amministrativo, storia, arte, filosofia, teologia, musica e poesia… Per trovare un intellettuale come lui, nella Bassa Friulana, bisogna andare indietro una grandinata di secoli e arrivare almeno a San Paolino d’Aquileia (VIII sec.).
Con poetica semplicità, la maestra Giovanna, nelle tappe del suo diario, ci racconta come funzioni questa scuola, ci inframmezza qualche filastrocca di Gianni Rodari, ma sempre a proposito di… Mai cucita accanto o paracadutata nel testo, e ci spalanca l’animo coi disegni dei “suoi” bambini.
Ci sono le suore, di altro Ordine, ma in consonanza, per l’attività, con quello che aveva imparato dalle Orsoline, le visite gradite dell’Ispettore Serena (per altri gradi di scuole, tali visite erano normalmente degli incubi inquisitori). Un ispettore sempre da parte degli insegnanti, il dott. Serena, e visite per arricchimento culturale e per interessamento ai problemi.
Filastrocche di Rodari, ma non banali, in profondità; l’insegnamento di Maria Montessori… La maestra Giovanna cresce (a Mariano per davvero e nel libro per racconto) con i bambini, e in consonanza con loro, grazie alla sua preparazione, mediatrice la calma.
Qua e là, emergono sprazzi di prosa d’arte quando descrive il giardino della scuola nelle stagioni e i rapporti della natura coi bambini “sorgenti d’amore”, come li chiama la Montessori.
Ci entrano personaggi della nostra ex Contea in questo libro come i consigli di un’altra maestra di gala, Anna Bombig. Serenità spirano sempre i rapporti scuola e famiglia, qui descritti in maniera ricorrente e articolata. “incontri”, si badi bene e collaborazione come interscambio per una educazione completa.
Lunga citazione (su ricordo di una insegnante) fa la maestra Giovanna di un Giuseppe Mazzini, qui coerente, che tesse l’elogio della famiglia. Maria Montessori avverte “genitori custodi, non costruttori di bambini” e così si pone l’Autrice, che ci racconta dei testi, sempre aggiornati, su cui si prepara; li cita in tante bibliografie essenziali e ci fa capire, come scrisse il neuropsichiatra infantile Giovanni Bollea, che “il fine dell’educazione è la gioia dei vivere insieme”.
Cambia il tempo, cambiano le stagioni, arrivano periodi dell’anno, feste topiche come il Natale, e giù preparazione adeguata, sia per conoscere neve e paesaggio, sia per capire i significati. Ciò in tratti di vita insieme con parroci, sindaci, alpini, pescatori sportivi, donatori di sangue, e qui la nostalgia di una persona che ha dato tanto ai bambini, racchiusa nella filastrocca “Nonno Santo”, dal linguaggio accessibile e non banale. La scuola della maestra Giovanna e delle colleghe è sempre dentro la vita, anche nei momenti più tristi, come per la morte della maestra Maria Beatrice Monaco, che se n’è andata il 4 novembre del ’94, annegata in mare. Si tratta di un racconto patetico, ritmato fra cronaca, vita insieme, vera vocazione a educare, e silenziosa, competente, adesione alle vicende e alla crescita dei più deboli, avvertiti e vissuti come arricchimento, non come problema.
Si diceva di Gianni Rodari (1920-1980), scrittore per l’infanzia, che viene citato spesso con le filastrocche, in una, qui riportata, parla del cielo: “Il cielo è di tutti”; in essa, c’è una quartina molto interessante, alla portata di grandi e bambini
“spiegatemi voi dunque, / in prosa ed in versetti, / perché il cielo è uno solo/ e la terra è tutta a pezzetti”.
Un concetto analogo espresse Celso Macor, quando scrisse di un mezzogiorno nella piana del Preval e le campane suonavano, e i confini non si sentivano. A proposito di terre nostre, nel libro, c’è un costante collegamento col territorio, fatto di vita pratica: si va in municipio coi bambini, e il Sindaco Adriano Nadaia li fa sedere al banco dei consiglieri; si va in chiesa, e c’è il parroco che spiega…
Non ci sono solo i massimi sistemi o i mestieri a essere a tu per tu con scuola e bambini; ci sono le fattorie, le aziende vinicole, gli animali da cortile, i pesci dei pescatori sportivi e il Versa del naturalista, e ci sono fin i coniglietti quasi appena nati. Sfido io che poi i bambini, mediatrice e redattrice la maestra, cavano fuori la filastrocca su Mariano e Corona, dai toni incantati, compreso un realistico verso, che sarebbe tanto piaciuto a uno dei cantori di Mariano e del Friuli austriaco, Pre Tite Falzari: “Si respira un’antica aria viennese”!
C’è anche la sperimentazione in questa scuola, veramente aperta, che collega la storia col presente e guarda al futuro, ed è descritto un aspetto della Sperimentazione ASCANIO, sigla di “Attività Sperimentale, Coordinata, Avvio Nuovi Indirizzi Organizzativi”: il titolo non è dei più sintetici (chi lo ha inventato sarebbe dovuto essere relegato in qualche soffitta del ministero per non nuocere più), però il risultato è stato eccellente racconta la maestra Giovanna. Presi dentro genitori, maestri, si trattava (tutto programmato) di andare dai giochi ai disegni, dall’interrogare la natura alla recita, e ci stava dentro la visita dell’arcivescovo mons. Dino De Antoni, che ai bambini sapeva raccontare. Si narra anche di una tavola rotonda sulla scuola, a Gradisca, e di una mostra, di cui ci sono i fotogrammi dei disegni realizzati dai bambini. C’era gente di valore che agiva (ce n’è anche adesso, e certamente ci sarà in futuro) come la direttrice didattica dott.ssa Laura Peresani e l’onnipresente dott. Odorico Serena, cui va il grazie, ovviamente non interessato: viene dal periodo della pensione. Pubblicata una sua relazione sulla scuola dell’infanzia tutta da leggere, in cui l’Ispettore sottolinea due elementi basilari: il primo, che nella nostra Regione la scolarizzazione dell’infanzia va dal 96 al 99%; il secondo, che si forma la cultura europea e la pluralità in questa terra di confine (ora di confine buono, come direbbe Macor che ne ha scritto).
Sul finire del libro, il passo più bello sotto il profilo letterario: è il racconto “Il canto del fiume” (si tratta del Versa), del suo mondo, dell’incontro del fiume coi bambini nel ricordo del nonno Bepo, il nonno dell’Autrice. Cito ciò che scrissi nel 2008, a proposito del bozzetto (era questo) presentato dalla maestra Comelli al concorso letterario del Comune di Romans intitolato a Celso Macor. Lo cito in lingua friulana: “Dongia dal tema macoriàn dal flunc l’è al bozzetto da Giovanna Comela (Comelli): in talian a scrîf “Il canto del fiume”, un bozzetto vivût in peraulis, ancia chist cun rizercjada, o spontanea, tecnica cinematografica. Dal fleshbck sul Barba Bepo che gi conta a jê di un mond tal flunc e intôr da sôs aghis, a cualchi vôs fur campo ch’ a ven dal sô pensîr e da sô esperienza, fin a zumadis sui zucs dai fruts e sun chei, diferents, da frutis.
Didattica, pedagogia, puisia, vôs, colôrs, gi dan al scrit una impuartanza granda: chê dal savê cialâ, sintî e scrivi, par podê insegnâ a cialâ, sintî e scrivi; l’è un “segret” una vora dismenteât par corigi daûr dome a la immagine”. Giuro, però, che l’aggettivo “macoriano” non lo userò più perché lo trovo orrendo (ma ormai, je petada!)
Sul finire del testo, il grazie dei genitori in parole a volte fatte versi. Poi, con altre parole, rese anche questa volta versi, la m.a Giovanna si congeda da questa magica esperienza coi bambini di Mariano e di Corona. Un viaggio nel tempo con fatti, persone e luoghi, non senza nostalgia, in versi liberi e con tanto affetto. Mi preme, però, mettere in evidenza due di questi versi rivolti a genitori e nonni:
“… mi hanno arricchito dentro, perché genitore non sono…”.
No, gentile Maestra Giovanna, qui non ci siamo: lei è stata molto, ma molto, ma molto di più!
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