Giorgio Milocco ricorda i dannati del Litorale

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redazione

13 Luglio 2021
Reading Time: 4 minutes

Doppia presentazione di libri

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Sono stati presentati ad Aquileia, recentemente, due nuovi libri di Giorgio Milocco. Il primo sui “Volontari irredenti del Contea di Gorizia” con relatore lo storico Paolo Malni di Gorizia (Nuove Edizioni della Laguna) mentre il secondo “Una tragedia nascosta – I dannati del LitoraleDalla Serbia all’Asinara attraverso l’Albania” (Luglio Editore) con relatore il professor Stefano Perini di Aiello. Presente in questo caso anche il Coro dei Costumi Tradizionali Bisiachi di Turriaco.

L’iniziativa è stata realizzata dall’Associazione Culturale “Alsa” di Cervignano.

Per i “Volontari irredenti” a livello locale si tratta del primo saggio in assoluto per il territorio compreso nell’ex Contea.  Per quanto riguarda il secondo c’erano dei precedenti con Valentino Semi (Aidussina), Vlado Klemse di Savogna per il diario di Anton Tomsic, Roberto de Vittor per Viktor Bizin di S. Croce e il lavoro di ricerca di Roberto Cosma di Turriaco.

Il fronte serbo-balcanico è stato quello della prima ora dopo la dichiarazione di guerra dell’estate del 1914. Un fronte che da subito ha conosciuto e registrato una violenza inaudita perpetrata sia dai i militari degli eserciti coinvolti che quella austroungarica verso gli stessi civili serbi.  Paesi date alle fiamme con impiccagioni all’ordine del giorno.  La Serbia in questo contesto perse il 28% della sua popolazione. Le forti motivazioni di contrastare gli au., la tattica usata dai serbi tenne a bada la preponderante macchina militare austroungarica. Numerosi furono gli errori commessi dagli a.u. e questo costò molte perdite, tanti feriti e soprattutto numerosi prigionieri.

La Landwehr del Litorale-Kustenland k.k. Nr. 27 assieme al LIR Nr.5 e il più noto reggimento di fanteria l’IR Nr. 97 ebbero il loro battesimo del fuoco proprio qui. Tra offensive, battaglie e controffensive, ritirate si iniziò un impietoso conto dei morti. Bisognava farla pagare l’affronto subito da parte della Casa d’Austria. Le operazioni non registrarono conquiste e rapidi avanzamenti e i serbi non si lasciarono intimorire. I prigionieri a.u. vennero per la maggior parte indirizzati verso Nis a sud che divenne una vera e propria “Capitale della guerra per la Serbia”.

Ma da tante persone accumunate, sfinite e malnutrite si diffusero le epidemie e molti morirono negli ospedali della Serbia.  Dopo tanto combattere la Serbia ebbe la peggio. È in quei momenti drammatici che i maggiori esponenti di quello che restava dell’esercito serbo dopo una prima dichiarazione di lasciare sul posto i prigionieri catturati agli eserciti dell’Impero Centrale si convinsero invece di portarseli con sé in quella che diverrà la “Marcia della Morte”. Tutto questo avvenne in pieno inverno con un itinerario di oltre 600 chilometri.  

I primi tempi in forma ordinata poi sempre più disordinata per via dei problemi sorti durante il viaggio. Dopo la scrematura in cui morirono circa 27.000 prigionieri a.u. e soldati tedeschi rimasero presumibilmente “soltanto” 13.000.

Sani, malati, feriti: tutti dovettero seguire gli ordini degli ufficiali serbi. Morirono ai bordi delle strade – se queste possiamo chiamarle strade – per sfinimento, per fame, per malattie, per le violenze subite. Spogliati e derubati degli stracci che avevano addosso, dei pochi denari che avevano con sé, delle stesse malconce calzature.  Molti non ne avevano e parecchi erano soltanto fasciati ai piedi. Nudi, sporchi, rassegnati, abbruttiti, affamati erano dei derelitti. Da disciplinati divennero con il tempo una massa indisciplinata cambiando radicalmente le proprie stesse sembianze per poi diventare una accozzaglia. Ci furono episodi di cannibalismo. 

L’arrivo in Albania, il “Paese delle aquile”, fu accompagnato dalla presenza di truppe italiane mandate lì per tutelare gli interessi dell’Italia in pieno periodo di “neutralità”. Le ambizioni non nascoste dell’Italia erano di poter concretizzare con i fatti la “Gibilterra” dell’Adriatico. 

Da Valona il 25 dicembre 1915 attendevano alla rada numerose navi per il trasporto concordato fra le parti con destinazione l’Asinara. L’Italia dimostrò chiaramente di non essere in grado di farle fronte. Il campo dell’Asinara poteva ospitare poche centinaia di persone e invece si trovò davanti circa 13 mila prigionieri. Il diffondersi del tifo e del colera ebbe conseguenze pesanti.

Con il tempo l’Italia si dichiarò favorevole di lasciare alla Francia (luglio 1916) tutti quelli che non fossero “Adriatici”. Si parla a questo punto di circa trecento persone rimaste all’Asinara (l’Isola dei Colerosi). Si aprì la possibilità ai prigionieri a.u. di chiedere ed ottenere la libertà “vigilata” nella primavera del 1916. In questo modo il campo dell’Asinara venne svuotarlo ulteriormente provvisoriamente in quanto successivamente giunsero altri prigionieri catturati

L’autore ha potuto far uso di fonti inedite fra cui quelle provenienti da Ginevra (Croce Rossa Internazionale) e dall’Archivio di Serbia (Belgrado) grazie alla collaborazione della Comunità Ortodossa serba di Trieste.  Sono state utilizzate fonti inedite pure per i “Volontari irredenti” dopo un lungo percorso di ricerca. Censiti e arricchiti con dei curriculum, con note e foto, nonché con documenti provenienti da collezioni private. Il libro svela quali fossero i “veri” volontari da altri “presunti”, tali con tutta una serie di valutazioni e confronti incrociati.

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