Vita da bomber

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redazione

6 Luglio 2018
Reading Time: 4 minutes

Giuseppe Savoldi

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Luglio 1975. Dopo aver concluso il campionato al secondo posto dietro alla Juventus, il Napoli vuole un grande bomber per tentare l’assalto al titolo. La società partenopea non ha dubbi e bussa alla porta del Bologna per chiedere il suo cannoniere e capitano Giuseppe Savoldi. L’operazione si chiude per la cifra record complessiva di due miliardi di lire: il trasferimento più costoso nel calcio professionistico fi no ad allora. «Vissi quell’esperienza con serenità – racconta oggi Savoldi, con il suo spirito sbarazzino che sembra aver fermato lo scorrere del tempo –. Nonostante la pressione dell’ambiente e della stampa, per me si trattò di motivazioni e stimoli nuovi per migliorarmi ulteriormente».

E il volto illuminato dal sole estivo conferma la sincerità del suo pensiero. Siamo ad Aiello del Friuli, dove “Mister due miliardi” (come lo soprannominarono allora) è giunto per presentare il suo Manuale tascabile per allenatori, in collaborazione con l’artista friulano e amico Evaristo Cian che ha realizzato le apposite illustrazioni pubblicate al suo interno.

Savoldi, partiamo proprio da qui: qual è il suo rapporto con il Friuli Venezia Giulia?

«Un rapporto che nasce da lontano. Durante la mia carriera ho avuto modo di conoscere diversi compagni di squadra friulani, su tutti Tarcisio Burgnic ai tempi del Napoli. Grazie a lui ho incontrato Evaristo Cian, con cui è nata una bella amicizia, che mi porta spesso in questi luoghi. Da Udine alla zona confinaria di Gorizia e Nova Gorica, fino alle meraviglie antiche di Aquileia: una terra ricca di posti straordinari».

L’idea di scrivere questo manuale com’è nata?

«Ancora oggi continuo a frequentare il mondo del calcio da addetto ai lavori. Sono regolarmente a contatto con gli allenatori, li ascolto e li vedo in azione. Così è nata l’idea di mettere nero su bianco quello che fanno e quello che dicono, tra il serio e il faceto. Le illustrazioni di Cian impreziosiscono il tutto, rendendo il testo immediato».

Anche lei è stato allenatore: a suo avviso quali sono le difficoltà principali del mestiere?

«Rispetto al passato, oggi un allenatore deve gestire rose di trenta giocatori, tenendo in considerazione le esigenze dei singoli senza mai venir meno a quelle della squadra: una cosa non semplice. Tuttavia l’aspetto più importante è un altro».

Ovvero?

«Mettere i giocatori nelle condizioni di fare quello che sanno. Anche da qui nasce la presa in giro del mio manuale: la tattica deve essere intelligente. Un allenatore non può fossilizzarsi sulle proprie idee snaturando le caratteristiche dei suoi calciatori».

Giuseppe Savoldi calciatore ha mai avuto a che fare con allenatori di questo tipo?

«Fortunatamente ho sempre giocato in squadre che mi hanno consentito di esprimermi al meglio, con compagni abili a sfruttare le mie doti principali: il colpo di testa e il senso del gol».

Come dimostrano le 169 reti realizzate su 421 presenze in campionato. Ce n’è una a cui è particolarmente legato?

«Per me tutti i gol segnati sono stati importanti. A volte restano impressi quelli più belli, altre volte quelli segnati in partite fondamentali. Ricordo sempre la rete decisiva che realizzai in uno scontro salvezza contro Sampdoria: calciai male rasoterra un rigore destinato a essere parato dal portiere avversario, ma un rimbalzo anomalo sul terreno alzò la traiettoria del pallone facendolo finire in rete. Tutti si complimentarono con me per quel gol decisivo, ma io non parlai per due giorni perché sapevo di aver calciato male».

Tra le squadre in cui ha militato a quale si sente più legato?

«Non dimenticherò mai l’Atalanta che mi ha dato i natali calcistici, facendomi esordire in Serie A. Ma Bologna, dove ho disputato 8 campionati e dove sono nati i miei figli, ha rappresentato e rappresenta tuttora qualcosa di speciale».

Lei è stato uno dei bomber più prolifici della sua generazione, eppure in Nazionale ha disputato solo quattro partite, segnando un gol. Come se lo spiega?

«In realtà ho fatto parte per un paio d’anni del giro azzurro, ma all’epoca eravamo in 7-8 attaccanti tutti di qualità. Bettega e Graziani erano i titolari, mentre io e Pulici le riserve. Ma c’erano anche altri campioni, come ad esempio Pruzzo, che avrebbero meritato spazio».

Il presente invece parla di un Mondiale senza l’Italia e di attaccanti azzurri con il contagocce…

«Se ai miei tempi c’era l’imbarazzo della scelta, oggi è difficile trovare attaccanti di qualità. Purtroppo questo è il risultato della scarsa attenzione dedicata ai settori giovanili. Solo se investiremo sui nostri giovani e daremo loro fiducia facendoli sbagliare per maturare potremo invertire la rotta».

A proposito di attaccanti: nel campionato italiano c’è un nuovo Savoldi?

«Quello che più mi assomiglia credo sia Mauro Icardi».

In chiusura torniamo a parlare di allenatori: quali sono stati quelli più determinanti nella sua carriera?

«Ne cito due. Il primo è Marino Perani: è stato mio compagno di squadra al Bologna e, successivamente, anche allenatore con i rossoblù. All’epoca era un tecnico all’avanguardia dal punto di vista tattico, con idee innovative».

E il secondo?

«Bruno Pesaola. Una persona umanamente eccezionale e tatticamente una spanna sopra gli altri: in allenamento lavoravamo poco, ma lui riusciva sempre a prevedere quello che sarebbe poi successo in campo»

 

 

Giuseppe Savoldi è nato a Gorlago, in provincia di Bergamo, il 21 gennaio 1947. Tra i centravanti italiani più prolifici della sua generazione, in Serie A ha collezionato 405 presenze segnando 168 reti, ponendosi in quindicesima posizione nella classifica marcatori all time del massimo campionato italiano. Capocannoniere della Serie A 1972-1973, e per 3 volte della Coppa Italia (1969-1970, 1973-1974 e 1977-1978), vanta il primato dell’attaccante che più volte (12) è riuscito a presenziare nella top ten dei marcatori della massima serie italiana. In Serie A ha indossato le maglie di Atalanta, Bologna e Napoli.

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