Vinicio Fabbro: libertà su due ruote

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Oggi compie 89 anni e nel suo capannone a Teor continua a restaurare motorini e scooter di tutte le epoche. Alla ricerca spasmodica dell’autenticità. «Anche un bullone o una rondella vanno scelti con cura»

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Vinicio Fabbro nel suo capannone a Teor

RIVIGNANO TEOR – Vinicio Fabbro, conosciuto come “il Fari”, è un maestro carrozziere che ha saputo elevare la sua passione per gli scooter e i motocicli, diventando un custode della memoria italiana a due ruote.

Nato a Teor il 24 ottobre 1936, a 89 anni ne dimostra molti di meno; con la sua inseparabile tuta blu ci accoglie nel capannone.

Qui custodisce tutti gli scooter, le moto e i motorini che ha già restaurato, accanto a molti altri che aspettano ancora le sue mani.

La particolarità sta nel fatto che ogni veicolo è unico: oltre alla sua abilità, Vinicio possiede una conoscenza profonda dei segreti dei motori a due e quattro tempi e delle peculiarità di ogni singola marca.

«Sono oltre 22 e tutte italiane, orgogliosamente Made in Italy», afferma.

Vinicio, come è nata in lei questa singolare passione?

«La passione è nata quando ero ancora un bambino. Ricordo la polizia stradale che passava nei paesi in sella alla Moto Guzzi: il “Tom Tom” del motore è un suono che ho tuttora nella mia mente. Da lì è partita la passione per questi rumori e per le moto. A 18 anni mi sono comprato il primo scooter, un Nibbio, che possiedo da 70 anni, anche se all’epoca non avevo neppure il sapone per lavarmi le mani».

Come è proseguita la storia della sua vita?

«Sono partito da emigrante in Canada, dove per vent’anni ho lavorato come carrozziere. Poi, negli ultimi sei anni, ho lavorato in proprio e questo mi ha dato l’opportunità di tornare in Italia, nel mio paese natale. Qui ho comprato il terreno dei miei nonni e dei miei genitori, e vi ho costruito la mia carrozzeria, la casa e un capannone per esporre le mie moto».

Da lì è partita l’idea delle due ruote?

«Sì, mi ero ripromesso di comprare moto, quasi per una sorta di “vendetta”, perché da ragazzo non potevo averne una. Ho iniziato a recuperare scooter e motorini, con l’obiettivo di dedicarmici completamente una volta in pensione. Volevo restaurarli e ripararli, ed è esattamente quello che poi è successo».

Questo capannone ne è la testimonianza…

«Quello che vede qui è il risultato di trent’anni del lavoro che ho svolto ogni sabato, domenica e spesso anche dopo cena. Per me la mia tuta da lavoro rappresenta la divisa della libertà».

La tuta blu che indossa non è un’uniforme lavorativa nel senso comune, ma un simbolo. È la “divisa della libertà” perché indossandola, Vinicio si sente pienamente sé stesso, libero di esprimere la sua arte e la sua conoscenza senza vincoli. In quel capannone, lui è il padrone del suo tempo e del suo talento. La tuta rappresenta la sua indipendenza, la realizzazione di un sogno d’infanzia e la possibilità di dedicarsi interamente a ciò che ama.

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Alcuni dei mezzi nel capannone di Fabbro

Il materiale che le ha permesso di rimettere a posto tutti questi veicoli come lo ha trovato?

«Con molta pazienza ho recuperato i pezzi, cercandoli nei mercatini specializzati e grazie alle mie conoscenze tra gli appassionati. Non è semplice reperire i pezzi giusti, ma alla fine riesco sempre a realizzare i miei progetti».

Quando ha iniziato a realizzare i progetti di restauro?

«Appena sono andato in pensione mi sono dedicato interamente alla revisione di scooter, tutti rigorosamente italiani, ci tengo a precisarlo. Da carrozziere ho revisionato sia i motori sia i telai che le strutture. Come ha potuto notare, non lavoro solo su marchi famosi come Vespa e Lambretta, ma ho messo mano a oltre una ventina di marche italiane».

In questo grande capannone ci sono molti veicoli a due ruote: quanti per la precisione?

«Ho restaurato una sessantina di scooter, una ventina di motocicli e oltre sessanta motorini. Tra questi, è particolarmente interessante il Mosquito, un ciclomotore da 38 cc. Il suo micromotore a rullo si applicava a una normale bicicletta, che pertanto veniva trasformata in un veicolo a motore, per chi non poteva permettersi un motociclo completo era la soluzione ideale e ha rappresentato il vero e proprio “treno dell’economia italiana” del dopoguerra».

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Esposti anche numerosi motori

Questa enorme collezione è mai uscita dal suo capannone?

«Certamente. I miei pezzi sono stati esposti in molte occasioni: tre volte alla Terrazza Mare a Lignano Sabbiadoro, a Portopiccolo a Sistiana, a Latisana, ma anche a Villa Manin di Codroipo, a San Martino di Codroipo e al Città Fiera. Ultimamente al Festival di Majano».

Quanto tempo ci vuole per restaurare uno scooter?

«Il tempo non è solo quello che viene impiegato a smontare e rimontare lo scooter. La maggior parte del tempo è speso per la ricerca spasmodica dell’autenticità. Ogni singolo componente deve essere originale, perché il valore di un restauro sta proprio nel mantenere l’anima del mezzo. Anche i dettagli apparentemente più insignificanti, come un bullone o una rondella, contano. La scelta di lavare e riutilizzare pneumatici d’epoca, invece di acquistarne di nuovi, è l’esempio perfetto di questa filosofia: non si tratta solo di far funzionare il veicolo, ma di preservarne la storia, l’estetica e la patina del tempo. È un atto di rispetto verso il passato e verso l’ingegneria che ha reso questi mezzi iconici».

Un’ultima domanda: l’età dei suoi velocipedi e delle due ruote?

«Il “Nibbio” del 1955, il mio primo scooter, è il più datato della collezione e lo sto ancora restaurando. Ho anche altri veicoli della stessa epoca, risalenti alla fine degli anni ’50. Per me sono tutti piccoli capolavori, a cui dedico la stessa attenzione e passione».

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Una mini moto Norton
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