Romeo e Giulietta, una storia friulana

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Vanni Veronesi

5 Aprile 2011
Reading Time: 6 minutes
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Un viaggio letterario, tra mito e realtà.

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Nel 1517 circa compare sulla scena letteraria italiana un libro: Historia novellamente ritrovata di due nobili amanti con la pietosa loro morte intervenuta già nella città di Verona nel tempo del signor Bartolomeo della Scala. L’autore è Luigi Da Porto, friulano di origine vicentina: «La novella racconta […] la storia dell’amore contrastato fra Romeo Montecchi e Giulietta Cappelletti, impedito dalla violenta rivalità delle famiglie, e conclusosi drammaticamente con la morte dei protagonisti, per una tragica e fatale concatenazione di fatti». Le parole qui riportate sono di Francesca Tesei, autrice, assieme ad Albino Comelli, di un libro uscito nel 2006: Giulietta e Romeo: l’origine friulana del mito. Il titolo non passa inosservato: se, infatti, pare evidente che Shakespeare si sia ispirato al romanzo di Luigi Da Porto per il suo celebre dramma, che c’entra il Friuli se la storia è ambientata a Verona? La tesi è spiazzante: Giulietta e Romeo non sarebbero altro che l’udinese Lucina Savorgnan e Luigi Da Porto in persona. In effetti, le coincidenze fra la vicenda della Historia (box a pag. 29) e le biografie di Lucina e Luigi, ricavabili dai documenti, sono notevoli. Pur prendendo tutto con beneficio d’inventario, quello che vi proponiamo è un viaggio. Non, si badi, nei luoghi del romanzo (per l’appunto trasposto a Verona e con nomi fittizi: l’autore non voleva esporsi), ma in quelli reali della vita di Luigi e Lucina.

 

LO SFONDO STORICO

Nel 1508, quasi tutte le potenze europee, con Austria, Ungheria e Papato in testa, stipulano un accordo a Cambrai (Francia) per fermare l’inarrestabile avanzata della Serenissima sulla terraferma: un ‘tutti contro uno’ da cui, però, Venezia uscirà nel 1516 sostanzialmente vincitrice, grazie alla sua abilità nel rovesciare alleanze e ad uno sforzo militare e finanziario colossale. A capo di molti reggimenti veneziani, in quegli anni, è il nobile udinese Antonio Savorgnan, leader di una fazione politica chiamata ‘degli Zambarlani’. Attorno ad essa si concentrano la ‘nuova nobiltà’ friulana, il popolo urbano e persino i contadini. Nemici giurati degli Zambarlani sono i cosiddetti ‘Strumieri’: vi aderiscono la vecchia nobiltà feudale e le antiche famiglie nobiliari di Udine, simpatizzanti per l’Austria. È in questo scenario che si muovono i nostri protagonisti. Il casato dei Savorgnan ha due rami: Del Monte di Osoppo, di cui Lucina è una rappresentante, e Della Torre di Zuino, di cui sono esponenti Elisabetta e il figlio, Luigi Da Porto, nipote di Antonio Savorgnan. Questa divisione genealogica diventerà, nel 1511, una contrapposizione feroce.

 

IL VIAGGIO

Arriviamo ad Ariis di Rivignano per visitare l’abbandonata Villa Savorgnan, una fra le innumerevoli che troveremo nel nostro percorso: il giardino all’italiana, con i suoi cespugli che si affacciano sul fiume Stella, è silenzioso e un po’ incolto, ma il fascino decadente del luogo ci rapisce. Qui, Lucina soggiorna a lungo assieme alla madre dopo la morte del padre Giacomo, nei primi anni del Cinquecento. Negli stessi anni, Luigi vive in compagnia dello zio Antonio Savorgnan nel castello di Brazzacco superiore. La rocca sorge sopra una collinetta dietro all’attuale villa nobiliare: la proprietà è privata, ma qualcosa si riesce a intravedere dai cancelli che interrompono il recinto, nonché facendo il giro dalla parte posteriore.

Il nostro Da Porto ha davanti a sé un futuro da capo della cavalleria: ed ecco che dal marzo 1510 al marzo 1511, Luigi è d’istanza a Cividale, presso la porta del cosiddetto ‘Arsenale Veneto’. Proprio da qui, Luigi si sposta a Udine il 26 febbraio 1511: è la sera che precede il Giovedì Grasso e a palazzo Savorgnan (oggi scomparso), in piazza Venerio, è in corso una festa di Carnevale. Nella casa di famiglia, la quindicenne Lucina fa il suo debutto in società: suona, canta e danza… e per Luigi è il colpo di fulmine. La mattina dopo, il 27 febbraio, nel capoluogo friulano è giunta una grande quantità di popolo da tutta la regione. Antonio Savorgnan, con una mossa astuta, sobilla il popolo, che sapeva essere vessato da tasse e soprusi dei nobili: d’improvviso, la massa arrivata per il Carnevale si ribella contro gli aristocratici. La «crudel Zobia Grassa», il «crudele Giovedì Grasso», come verrà chiamato dal cronista Gregorio Amaseo pochi anni dopo, passa alla storia come il giorno del massacro: la plebe insegue e uccide i nobili udinesi, i cadaveri vengono spogliati, abbandonati nelle vie del centro, lasciati in pasto ai cani, gettati in fosse comuni e nel pozzo di via Savorgnana (un nome che dice molto). Antonio Savorgnan, rimasto ufficialmente fuori dagli scontri, ha raggiunto il suo scopo: eliminare i nemici agendo in segreto. Egli, però, non ha fatto i conti con il governo veneziano, che pure sostiene: la Serenissima vuole a tutti i costi riportare l’ordine e per questo manda in città un contingente da Gradisca. Luigi Da Porto, dopo i fatti di Udine, si trasferisce proprio nella rocca isontina, precisamente nell’ala meridionale. Presidiare la zona è fondamentale: per Venezia, Gradisca dev’essere un baluardo contro le invasioni turche e le ambizioni imperiali degli Austriaci. A Udine, dunque, torna a stento la tranquillità, ma nei giorni seguenti l’intero Alto Friuli è in subbuglio: sono tanti i castelli attaccati e incendiati dai contadini.

D’improvviso, Antonio si rende conto che la rivolta gli è sfuggita di mano. Proprio nel turbine di questi eventi, i due cugini innamorati intrecciano una relazione appassionata: si incontrano quasi certamente ad Osoppo, nella fortezza dei Savorgnan che sorgeva sulla collina che domina il paese. Cinque secoli dopo, ripercorriamo i loro passi: arrivati in cima, lo spettacolo che ci si presenta è davvero suggestivo. L’area, molto vasta, è dominata da una chiesa di origine altomedievale, più volte ricostruita e oggi ridotta a scheletro a causa delle distruzioni del terremoto del 6 maggio 1976: all’interno, la sovrintendenza ha posto dei cartelli molto dettagliati sugli scavi archeologici in corso. Tutto intorno, ruderi romani, medievali e di secoli a noi più vicini; case, fortificazioni, sistemi di canalizzazione delle acque, in un continuum storico sbalorditivo. Un altro scenario dell’amore dei due giovani è, probabilmente, la villa nobiliare di Savorgnano del Torre, sorta alla fine del Quattrocento dopo la distruzione del vicino Castello della Motta, di cui rimangono pochi ruderi in mezzo a una boscaglia. La villa è immediatamente riconoscibile dalla strada principale, grazie alla torre in pietra che gli abitanti del luogo chiamano, non a caso, ‘Torre di Giulietta’. Ci avviciniamo per fare delle foto e veniamo accolti con grande cortesia: si respira un’atmosfera di pace assoluta.

Abbiamo lasciato Antonio Savorgnan in preda ad eventi più grandi di lui. La rivolta della «crudel Zobia Grassa» getta un’ombra nera su tutta la sua cerchia, dunque anche su Luigi, che si trova costretto a nascondere la promessa matrimoniale con Lucina a causa dell’aperta ostilità fra i due rami della famiglia. Il 20 giugno 1511, Antonio e Luigi si trovano a Manzano: davanti a loro sono schierate le truppe austriache appoggiate dagli Strumieri. Il campo di battaglia, oggi, è una piccola distesa di erba incolta in via Fornasarig, con una solitaria torre, unico resto di una fornace (ottocentesca?) vicino ad un mulino semidistrutto. Eppure, ci pare di sentire ancora il clangore delle armi e il clamore degli eserciti: nello scontro, violentissimo, il giovane Da Porto viene ferito da una punta di lancia al collo. Midollo spinale leso, paralisi irreversibile al fianco sinistro: a nulla valgono le prime cure nella vicina chiesa cimiteriale di S. Martino.

Per Luigi, svaniscono i sogni di carriera militare e, soprattutto, d’amore. Antonio Savorgnan, ora, sente la terra tremare sotto i suoi piedi: decide di fuggire e, con un clamoroso voltafaccia, ripara a Villacco ed entra nelle file dei suoi storici avversari (dai quali verrà comunque ucciso l’anno dopo). L’onta del tradimento si abbatte sulla famiglia Savorgnan: il ramo Della Torre, con l’uscita di scena del suo rappresentante, viene espropriato dei suoi beni, che passano ai Del Monte. Il conflitto per la gestione patrimoniale, però, è aspro: perciò, la Serenissima propone ai due contendenti una tregua matrimoniale. Lucina, dunque, va in moglie ad un altro parente, ossia Francesco Savorgnan Della Torre. La pace è ristabilita, ma la notizia prende alla sprovvista Luigi, disperato. Dalla finestra della sua villa di Montorso Vicentino, Da Porto ha davanti a sé i castelli di Montecchio Maggiore: questo, assieme a una reminiscenza dantesca (l’allusione alla storica rivalità fra Montecchi e Cappelletti, canto VI del Purgatorio, v. 106), lo convince a trasferire su carta la sua triste storia. Cambiando, però, nomi, luoghi, epoca e pochi elementi della trama: nasce, con tanto di esplicita dedica a Lucina, la Historia di Romeo e Giulietta, due giovani innamorati costretti a uccidersi per difendere il loro giuramento d’amore, contrastato dall’odio delle rispettive famiglie. Un finale tragico, ma eroico: meglio la morte rispetto a una vita da amanti separati. L’arte, sublime dono che lo spirito umano regala ai posteri, gli avrebbe dato ragione. Per bocca di William Shakespeare.

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