Pierpaolo Foti: il mondo tra le nuvole

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Andrea Doncovio

15 Dicembre 2025 , ,
Reading Time: 5 minutes

Con il suo stile inconfondibile, il violinista e compositore triestino sta conquistando il grande pubblico. Non si ispira a nessun artista: «Solo ai vecchi classici, che erano più avanguardisti di quanto si pensi». E ora è pronto per riempire gli stadi

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Pierpaolo Foti durante un’esibizione

TRIESTE – Umiltà, passione, determinazione. La voce di Pierpaolo Foti trasmette tutto questo e molto altro. Classe 1997, il violinista e compositore triestino che suona in perenne movimento è uno degli astri nascenti del panorama musicale italiano.

La nostra intervista parte dalla sua esibizione all’ultima edizione della Barcolana. Che, come tutte le esibizioni nella “sua” Trieste, non lo lasciano mai indifferente.

«Quando suono in città – confida mentre si sta preparando per una trasferta di impegni concertistici – avverto una responsabilità grande. Non so quale sia il motivo, probabilmente perché ci tengo tanto. Suonare poi di fronte al tramonto, con il mare e il cielo che offrivano colori surreali, sembrava di trovarsi al cospetto di un dipinto».

Pierpaolo, riavvolgiamo il nastro dei ricordi. La passione per la musica quando è nata?

«L’ho avuta fin da piccolo. Come una persona ha bisogno di mangiare, così la musica è il mio cibo. La musica è una necessità a cui da sempre ho affidato tanta dedizione. Col tempo mi sono perfezionato sempre di più, riuscendo a divenire anche bravo nell’interpretarla».

Quando hai capito che la musica non sarebbe stata solo una semplice passione?

«Non lo sai mai. I primi concerti risalgono ai tempi delle scuole superiori: inizialmente suonavo gratis poi, nel giro di pochi anni, ho cominciato a guadagnare i primi soldi, anche se si trattava di cifre simboliche. Mi piace sperimentare cose nuove, per cui nel tempo ho dato vita a formazioni diverse, con band talvolta “anomale”. Musica indie sperimentale, metal, la classica. Non c’è stato un fattore scatenante che mi ha fatto dire “adesso posso dedicarmi a ciò che ho sempre sognato”. È stato qualcosa di naturale, conseguente a molta gavetta».

Che cos’è per te la musica?

«Tutto. È ogni cosa».

La scoperta di Pierpaolo Foti da parte del grande pubblico risale ai tempi del COVID: cosa provasti a suonare nella piazza Unità deserta per il lockdown?

«Fu una delle cose più difficili della mia vita. Organizzai tutto io, a partire dal reperimento degli sponsor per sostenere le spese, comprese quelle per la troupe che ha realizzato il video. Emozioni molto forti, perché era una sorta di magia, nonostante il freddo. Ero molto sotto pressione anche perché la prima volta che tentai di organizzare l’esibizione la corrente fornita per la troupe cinematografica non era sufficiente, facendo saltare l’evento e suscitando disappunto tra le persone in attesa a casa. Ci restai molto male. La seconda volta invece andò decisamente bene. Anche se ho dovuto rivedere il video online per comprenderlo: quando suono, infatti, entro spesso in una sorta di trance, come se andassi su un altro pianeta. Anche per questo ci metto un po’ a recuperare».

L’arrivo della fama come ha cambiato la tua vita?

«In realtà non cambia niente. La fama è una conseguenza dell’aver fatto bene il proprio percorso. Quello che conta è essere felice di realizzare i propri sogni».

La cosa certa fu che Jovanotti ti scelse per i Jova Beach Party: che esperienza è stata?

«Io dovevo fare nella stessa data la tournée di Salmo a San Siro: la chiamata di Jovanotti arrivò in contemporanea e alla fine scelsi di accettarla. È stata un’esperienza molto bella, unica nel suo genere. Portare musica classica in una spiaggia, dove col caldo sono tutti in costume mentre io ero in abiti d’epoca resta qualcosa di indimenticabile. Fu un’esperienza unica che credo il pubblico non si scorderà».

Il legame con Jova?

«Anche a livello personale ci siamo subito trovati. In certe cose ci assomigliano: lui per esempio fa meditazione prima di salire sul palco. Ancora oggi ogni tanto ci scriviamo e manteniamo vivo il rapporto».

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(ph. Michele Lugaresi)

Con il violino riesci a spaziare dalla musica classica a quella elettronica: questione di studio, pratica o semplicemente dono naturale?

«Credo che qualsiasi dono naturale, se non coltivato, non possa esplodere in un vero e proprio talento. Per questo apprezzo una persona meno dotata ma che si mette in gioco con impegno e sacrificio, piuttosto che una persona dotata di talento ma che si lascia andare. Paganini diceva che lui non toccava mai il violino: in realtà studiava fino a 16 ore al giorno, qualcosa all’estremo umano. Lui sì che era un personaggio, molto più delle rockstar di oggi. Studio e talento sono entrambi fondamentali e necessari».

Rispetto a Paganini, Pierpaolo Foto quanto tempo dedica alla musica nelle sue giornate?

«In continuazione: scrivo, suono, studio. Non calcolo nemmeno il tempo. Può succedere che mi venga l’ispirazione di notte e che, quindi, la trascorra sveglio a scrivere musica e a studiare. Non ho una routine: le mie giornate cambiano in base ai concerti e ad altre situazioni, è tutto molto dinamico. Ma posso dire che la musica mi assorbe h24. Non c’è una definizione di tempo».

Quale genere di musica prediligi suonare?

«Classica. Ma credo sia giunto il momento di iniziare a uscire dal concetto di genere musicale. Conta solo la qualità della musica: perché non esiste musica di serie A o serie B».

Quando suoni sei costantemente in movimento: com’è nato questo tuo stile?

«È venuto naturale, niente di costruito. Non è nulla di controllato. In base alle energie che avverto di volta in volta così mi muovo. Non c’è mai qualcosa che si ripete, ma è tutto molto istintivo».

Qual è il tuo rapporto con Trieste?

«A Trieste sono nato e vissuto. Adoro i luoghi della città sul mare, perché mi fanno immaginare anche quello che potrebbe esserci oltre la visuale».

E il rapporto con i triestini?

«Bisognerebbe chiederlo a loro… Penso buono, perché percepisco tanto affetto nei miei confronti».

Tu sei anche compositore: da cosa trai ispirazione per scrivere la tua musica?

«In realtà l’ispirazione mi giunge in modo molto primordiale. Anche nel sonno mi vengono in mente le melodie. Oppure mentre sono al pianoforte: d’improvviso escono. Anche in questo caso alla fine è l’istinto».

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Quali sono i tuoi prossimi progetti?

«Il grande sogno a cui sto lavorando è quello di riuscire a riempire gli stadi. Contesti in cui aumentano i carichi di tenuta, di tensione e di responsabilità. In concerti lunghi il cambio della temperatura, il violino che si scorda o altri fattori possono incidere sulla qualità della musica: per questo bisogna prepararsi e allenarsi molto. Ci sono tante dinamiche in un live. Bisogna andare a cercare senza paura le imperfezioni, perché a modo loro rappresentano una magia in un mondo fatto sempre più di macchine».

C’è un artista a cui ti ispiri?

«In realtà no. Mi ispiro ai vecchi classici, che in realtà erano più avanguardisti di quello che si pensa. Non ho un punto di riferimento».

Se dovessi descrivere Pierpaolo Foti attraverso una canzone, quale sarebbe?

«“La Ciaccona” di Bach».

Perché?

«Solo ascoltandola si può capire perché».

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