Perché esistono le aziende?

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redazione

11 Marzo 2015
Reading Time: 7 minutes

Aprirsi al mondo con l’Open Innovation

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Qual è la ragione per cui esistono le aziende? Sembrerà banale, ma le risposte a questa domanda hanno avuto e rivestono un’importanza cruciale riguardo alle modalità di sviluppo e di organizzazione delle imprese.

Già nel 1937 Ronald Coase, economista inglese, diede una risposta che fece storia nel suo articolo La natura dell’impresa: “Le aziende esistono perché minimizzano i costi di transazione, ovvero i costi connessi all’interazione con gli ambienti e attori di riferimento, siano essi di produzione, di commercializzazione, di fornitura, di sviluppo e innovazione, ecc. Ovvero, internalizzando i processi si risparmia tempo e risorse per gestire complicazioni, negoziazioni, errori, opportunismi”. Quando persone, risorse tecniche e finanziarie sono governate secondo specifici ruoli, responsabilità, modalità operative e di comunicazione prestabilite e standardizzate per il conseguimento di uno scopo condiviso, si semplificano le interrelazioni e si aumenta l’efficienza nell’utilizzo di risorse scarse.

Tale argomentazione è stata oggetto di numerose reinterpretazioni e rielaborazioni da parte di molti illustri scienziati dell’economia per validarla, adattarla o confutarla in considerazione degli straordinari sviluppi verificatisi nella transizione alle economie post industriali basate sulla conoscenza e sulle tecnologie dell’informazione (knowledge economy).

In queste reinterpretazioni si assume sostanzialmente che in una libera economia, le forme organizzative d’impresa che sopravvivono sono quelle con benefici superiori ai costi. I costi, che a loro volta sono determinati dalla tecnologia, cambiano nel tempo. Così molti negli anni ’50-’60 del secolo scorso hanno sostenuto che l’impresa moderna è diventata una forma efficace e dominante di organizzazione dei fattori produttivi in conseguenza della diminuzione dei costi (interni) di produzione per la produzione di massa (economie di scala), insieme al declino dei costi esterni di trasporto e di energia.

In tale prospettiva storicamente contingente è comprensibile come una particolare forma organizzativa, l’impresa gerarchica e integrata verticalmente, si sia diffusa in virtù di bassi costi tecnologicamente determinati e si sia affermata rispetto ad altre forme. Oggi però i costi di progettazione, i costi di comunicazione e logistici sono in rapido declino e le piattaforme produttive modulari, ovvero disaggregabili, stanno diventando sempre più diffuse per molti prodotti e processi.

Questi trend tecnologici, in gran parte esogeni all’impresa, stanno abilitando modelli di business aperti alla collaborazione, praticabili attraverso una più ampia gamma di attività di innovazione e co-sviluppo che non erano possibili prima dell’arrivo di tecnologie come personal computer e Internet.

Stiamo assistendo alla diffusione dell’impresa, anche micro, con confini organizzativi a geometria variabile, permeabili e aperti a forme di collaborazione e relazioni virtuali con altre imprese, in cui l’innovazione è aperta e collaborativa.

L’Open Innovation cresce di importanza relativamente all’innovazione generata internamente alle aziende di produzione. I processi di innovazione gestiti all’interno delle funzioni di ricerca e sviluppo prodotti non scompariranno, ma ci si aspetta che diventino meno pervasivi, come avvenuto per la maggior parte del XX secolo, rispetto all’affermazione di modelli aperti di innovazione collaborativa in molti contesti.

Già vent’anni fa Bill Joy, fondatore della Sun Microsystems, allora una delle società tecnologicamente più avanzate e importanti del mondo, diceva: “Ovunque tu sia, gran parte dei talenti lavorano per qualcun altro, o per se stessi”. La cosiddetta Legge di Joy esprimeva un cambiamento il cui potenziale si sta manifestando oggi in tutta la sua forza dirompente: le aziende gerarchizzate e centralizzate sono incapaci di sfruttare la ricchezza di conoscenze e di diversità diffusa, oggi raggiungibile e collegabile in rete con costi marginali decrescenti o addirittura nulli.

Cos’è l’Open Innovation

L’Open Innovation è un modello di business che si fonda sul riconoscimento che molte idee valide vengono “realizzate” all’esterno delle aziende, e che queste possono nondimeno trarne vantaggio, potenziando le proprie capacità di: a) identificare innovazioni tecnologiche, di prodotto/processo e di mercato al di fuori della propria organizzazione; b) acquisire tali soluzioni innovative; c) internalizzare le stesse nei propri processi gestionali e produttivi.

Si sta così affermando una nuova visione su come consentire alle imprese, in particolare alle Piccole Medie Imprese (PMI), tipicamente penalizzate dalla limitata dimensione e capacità di investimento, di accedere a innovazioni tecnologiche in tempi più rapidi e a costi ridotti rispetto a quanto conseguibile dalla tradizionale attività di ricerca e sviluppo (R&D). L’approccio Open Innovation afferma infatti che le imprese possono e devono fare ricorso a idee esterne, così come a quelle interne, e accedere con percorsi interni ed esterni ai mercati, se vogliono progredire nelle loro competenze di prodotto, di mercato e tecnologiche.

Ciò permetterebbe anche di monetizzare il frutto degli investimenti e delle proprie attività innovative, massimizzando così il ritorno per tutto il sistema che ruota attorno al mondo della ricerca e dell’innovazione.

Come funziona l’Open Innovation

Le piattaforme di Open Innovation consentono la ricerca di soluzioni, normalmente tecnologiche, a problemi che vengono definiti da imprese impegnate nei settori più svariati (lo strumento può essere utilizzato anche da enti pubblici): dall’agricoltura alle biotecnologie, dall’informatica all’ingegneria, alla fisica e al design. Le soluzioni innovative selezionate dalle imprese sono poi “premiate” attraverso il conferimento di riconoscimenti in denaro.

In breve, le richieste di soluzioni da parte delle imprese o di enti pubblici vengono pubblicate su portali web a cui sono registrati dei “solvers”, cioè individui in grado di offrire le soluzioni innovative richieste. Il portale funge quindi da database di problemi tecnologici o di prodotto/processo, in relazione ai quali le aziende sono disposte a pagare un premio in denaro a fronte delle soluzioni proposte da chiunque sia registrato al portale.

Potenzialmente, quindi, le soluzioni possono pervenire da ogni individuo che ha accesso a un collegamento Internet. Il beneficio di poter accedere a un portale “neutrale” (cioè terzo) cui molte realtà possono partecipare, inoltre, è di mantenere l’anonimato, che per un’azienda può essere un aspetto fondamentale per mantenere la confidenzialità delle proprie strategie competitive.

Come sfruttare le risorse dell’Open Innovation

Il problema principale che le aziende di tutto il mondo devono affrontare è quello legato all’innovazione e all’accelerazione esponenziale che quest’ultima ha avuto negli ultimi decenni. Le grandi aziende hanno compreso da tempo che è impossibile rimanere al passo con il progresso tecnologico con le sole risorse interne, e da alcuni anni stanno cercando prodotti e processi innovativi al loro esterno. È un dato di fatto che le risorse disponibili all’interno di organizzazioni private e pubbliche sono limitate, al contrario di quello che accade al loro esterno, soprattutto grazie alla rete (4,5 miliardi di persone saranno connesse entro il 2020). Un tipico esempio di questa carenza di risorse è offerto dalle nostre PMI, che fanno sempre più fatica a stare al passo con la concorrenza. Per loro o per organizzazioni simili il guadagno di competitività potrebbe essere molto significativo, così come il risparmio di costi.

In Europa e in Italia la questione di come colmare questo gap per le PMI è una delle priorità nelle agende politiche. A livello europeo, la Commissione sta dando forte rilievo e impulso alla necessità di promuovere progetti legati all’Open poi “premiate” attraverso il conferimento di riconoscimenti in denaro.

In breve, le richieste di soluzioni da parte delle imprese o di enti pubblici vengono pubblicate su portali web a cui sono registrati dei “solvers”, cioè individui in grado di offrire le soluzioni innovative richieste. Il portale funge quindi da database di problemi tecnologici o di prodotto/processo, in relazione ai quali le aziende sono disposte a pagare un premio in denaro a fronte delle soluzioni proposte da chiunque sia registrato al portale.

Potenzialmente, quindi, le soluzioni possono pervenire da ogni individuo che ha accesso a un collegamento Internet. Il beneficio di poter accedere a un portale “neutrale” (cioè terzo) cui molte realtà possono partecipare, inoltre, è di mantenere l’anonimato, che per un’azienda può essere un aspetto fondamentale per mantenere la confidenzialità delle proprie strategie competitive.

Come sfruttare le risorse dell’Open Innovation

Il problema principale che le aziende di tutto il mondo devono affrontare è quello legato all’innovazione e all’accelerazione esponenziale che quest’ultima ha avuto negli ultimi decenni. Le grandi aziende hanno compreso da tempo che è impossibile rimanere al passo con il progresso tecnologico con le sole risorse interne, e da alcuni anni stanno cercando prodotti e processi innovativi al loro esterno. È un dato di fatto che le risorse disponibili all’interno di organizzazioni private e pubbliche sono limitate, al contrario di quello che accade al loro esterno, soprattutto grazie alla rete (4,5 miliardi di persone saranno connesse entro il 2020). Un tipico esempio di questa carenza di risorse è offerto dalle nostre PMI, che fanno sempre più fatica a stare al passo con la concorrenza. Per loro o per organizzazioni simili il guadagno di competitività potrebbe essere molto significativo, così come il risparmio di costi.

In Europa e in Italia la questione di come colmare questo gap per le PMI è una delle priorità nelle agende politiche. A livello europeo, la Commissione sta dando forte rilievo e impulso alla necessità di promuovere progetti legati all’Open Innovation, riconoscendo l’esistenza di barriere di varia natura, anche finanziaria, all’accesso a idee innovative, specie da parte delle PMI.

A livello nazionale-regionale bisognerebbe invece incentivare l’utilizzo delle piattaforme online di Open Innovation da parte delle PMI italiane con misure finalizzate a supportare progetti di innovazione che utilizzino queste piattaforme per reperire soluzioni e competenze per sviluppare la competitività, contribuendo ai costi per la definizione della domanda, l’accesso al servizio e la valutazione dei riscontri ricevuti.

Con riferimento al Friuli Venezia Giulia ne potrebbero beneficiare anche le PMI insediate in aree lontane dalle città, come quelle montane e collinari, che così potranno scegliere e introdurre innovazioni a un costo a loro accessibile. Inoltre, la Open Innovation potrebbe consentire di integrare e valorizzare l’intero ecosistema dell’innovazione in regione, inclusi i numerosi enti di ricerca, i cui prodotti non sono sfruttati adeguatamente.

Infine, la Open Innovation potrebbe anche favorire l’orientamento del sistema finanziario locale e le partecipate finanziarie della Regione nella allocazione di risorse per la generazione di crescita e sviluppo sostenibile. Proprio a Trieste è nata la start up Innoventually, una delle due sole piattaforme italiane di Open Innovation, che si pone quale impresa potenzialmente leader su tutto il territorio nazionale per le sue competenze e ampiezza dello spettro di servizi offerti.

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