Notturno con Mussolini

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Claudio Pizzin

8 Novembre 2022
Reading Time: 7 minutes

Mauro Tonino

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L’udinese Mauro Tonino è stato sindacalista di livello regionale e nazionale, esperto contrattualista e profondo conoscitore delle problematiche della Pubblica Amministrazione. Attualmente è membro del Comitato direttivo dell’ANVGD (Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia) di Udine.

In questa intervista, spazia a 360 gradi sul futuro del nostro Paese, partendo dalla storia più o meno recente.

Mauro Tonino, nel suo ultimo libro edito da “L'orto delle cultura”, affronta un intenso dialogo con Mussolini sull’Italia dei giorni nostri: com’è nata questa idea?

«A un compleanno mi regalarono un busto in bronzo di Mussolini, di pregevole fattura, non tanto per un’ipotetica simpatia per il personaggio, ma per la mia passione ultraventennale di ricercatore storico. L’autore del regalo, un giorno, scherzando mi chiese “Come sta Benny?”. Da lì nacque l’idea di far parlare quel busto e scrivere il libro».

Nel testo nasce un confronto tra l’Italia del ventennio e quella del nuovo millennio: a quale conclusione conduce questo confronto?

«La storia non si ripete mai pedissequamente, però a volte escono delle analogie, soprattutto perché, come diceva Hegel, “Tutto ciò che l’uomo ha imparato dalla storia, è che dalla storia l’uomo non ha imparato niente”, e quindi l’individuo tende a ripetere gli errori. Il confronto tra le due epoche è aspro, anche se  condito di episodi divertenti, perché si ripercorrono le tragedie e l’epopea del Ventennio senza pregiudizi, parimenti si effettua un’analisi disincantata dei tempi attuali pieni di contraddizioni e incertezze. La morale finale è quella di un invito alla ricerca del buonsenso, all’evitare pregiudizi, all’operare politico con un profondo e attento senso del dovere e dello Stato».

Come mai da un libro storico di ricerca come “Italiani dimenticati” è passato a scrivere un  improbabile dialogo con Mussolini?

«Sono uno scrittore che ama spaziare su molti ambiti, senza rimanere chiuso in un recinto tematico o  narrativo. Mi piace scrivere narrativa, perché mi diverte, come la ricerca sia storica che di attualità, che comporta fatica, analisi, lettura di migliaia di documenti, un po’ come un investigatore del tempo. Comunque, anche in Notturno con Mussolini la storia la fa da protagonista, dove riporto episodi poco noti ma importanti, anche se il tutto è tradotto in una scrittura leggera e gradevole. Un lettore attento, dietro le battute o dialoghi, che possono apparire simpatici e divertenti, intravvede tra le righe l’approfondimento.  Questo volume è quindi un invito al lettore, soprattutto di metodo, per approfondire senza condizionamenti i temi che si trova davanti, guardando al passato e all’oggi utilizzando più fonti d’informazione, per farsi infine un’opinione propria».

Tra i suoi testi, spiccano quelli dedicati al dramma delle foibe e delle vicissitudini del Confine Orientale: da cosa nasce il suo interesse per questi temi?

«Da sempre sono appassionato di storia, in particolare di quella del Confine Orientale, che è estremamente complessa, tragica, ma affascinante. Dopo aver ascoltato il racconto di un testimone dei fatti relativi agli infoibamenti e all’esodo, decisi di cimentarmi sull’argomento e di scrivere il mio romanzo sul tema, Rossa Terra, e poi Italiani Dimenticati. Al primo libro è seguito un lungo periodo di ricerca storica, di  sopralluoghi, di raccolta di testimonianze e documenti, che in parte sono state tradotti in Italiani  Dimenticati».

Ogni anno la celebrazione del Giorno del Ricordo riaccende in Italia polemiche mai sopite. Secondo lei perché?

«La legge istitutiva del Giorno del Ricordo, approvata peraltro a larghissima maggioranza dal Parlamento, dopo decenni di negazionismo e oblio, ha dato finalmente dignità storica agli esuli e ai parenti degli infoibati. Nonostante sia caduto il Muro di Berlino, da qualche decennio, permane, anche se, per fortuna, in un numero sparuto, un gruppo di irriducibili negazionisti, riduzionisti o giustificazionisti, che ricordano Hiro Onoda, il penultimo soldato giapponese ad arrendersi perché continuava nella giungla una guerra finita decenni prima. Quella sotto Tito fu una feroce dittatura, ma una parte politica affine ha sempre fatto finta di non vedere, ricordo il famoso “Treno della vergogna”, un treno pieno di esuli, bambini, anziani, donne, fermato da una parte politica alla stazione di Bologna il 18 febbraio 1947. Tutto questo oggi appare anacronistico, perché un crimine va sempre condannato, indipendentemente da chi lo compie, e quello delle foibe fu un vero crimine».

Lei è stato sindacalista di livello regionale e nazionale. Le crisi occupazionali e le basse retribuzioni nel mondo del lavoro restano uno dei temi chiave per il rilancio economico del Paese. Quali prospettive vede?

«In questi ultimi vent’anni il sindacato ha esercitato un ruolo assai modesto, non ha saputo rimanere al centro dell’arena politica ed è stato tenuto ai margini delle scelte politiche su retribuzioni, pensioni, welfare, ora i risultati sono evidenti. Parimenti non c’è stata una politica economica, si è navigato a vista senza un progetto. La “fuga dei cervelli” all’estero è la cartina di tornasole di un sistema paese che si sta impoverendo intellettualmente, e per l’Italia, essendo un paese che non ha materie prime ma le trasforma, questo diventa un grosso problema, al pari di un’altra questione sottostimata per i suoi futuri effetti, la denatalità. Le prospettive non appaiono buone, anche perché non vengono cercate e conseguentemente proposte soluzioni, se non per tamponare le emergenze quotidiane. Serve un disegno, un progetto economico e sociale per il paese, condiviso da tutte le parti sociali, che non parli sono di tagli, ma di un ordinato ed equo sviluppo».

Grazie alla sua esperienza lavorativa, lei è anche un profondo conoscitore delle problematiche della Pubblica Amministrazione. Problematiche che da anni i governi di tutti i colori politici promettono di risolvere senza mai riuscirci. Qual è lo stato attuale della P.A. in Italia e cosa si dovrebbe fare per renderla più efficiente?

«In quarant’anni di Pubblica Amministrazione, vissuti a vari livelli, nonostante le grandi innovazioni tecnologiche, vedo che la P.A. non è migliorata, anzi. La P.A. è uno dei problemi endemici di questo paese, tanto da sembrare irrisolvibile. Quali ricette? La prima è innanzi tutto la semplificazione normativa e procedurale, che vuol dire eliminare leggi, regolamenti e normative inutili o dannose. La seconda è la riqualificazione della dirigenza, perché una riforma seria parte sempre dalla testa, poi a cascata il resto del personale. Terza, la politica, ovvero, prima di emettere l’ennesimo provvedimento mirabolante, si fermi a riflettere e si domandi, l’atto è il solito appesantimento burocratico, fa danni, serve veramente a qualcosa?»

Una volta tutti bramavano il posto fisso. Oggi sono in aumento le dimissioni del personale all’interno della Pubblica Amministrazione. Secondo lei come mai?

«Stipendi bassi, blocco delle carriere, carico di responsabilità, faccio l’esempio di un tecnico comunale che, magari da solo, deve spaziare dall’edilizia privata, all’ambiente, alla sicurezza, alle opere pubbliche e ad altri molteplici argomenti e adempimenti, tutti rischiosi e assai complessi, che peraltro necessitano di competenze specifiche. Tutto questo fa sì che un giovane qualificato o laureato, in un mondo del lavoro molto articolato, cerchi soddisfazione nel privato o all’estero e non più nella P.A.»

Torniamo alla scrittura. Oltre a testi più impegnati, lei è anche autore di romanzi e racconti: in quale genere si trova più a suo agio come scrittore?

«La narrativa, intesa come romanzi o racconti, mi diletta molto, perché lì si può dare libero sfogo alla fantasia, e questo è molto divertente. La passione per la storia e per l’attualità mi porta anche verso la saggistica; la ricerca storica, come l’approfondimento di una notizia, magari trovando punti sconosciuti o nascosti, mi affascina molto. A questo punto metterei tutti i generi sullo stesso piano».

A proposito, com’è nata la sua passione per la scrittura?

«Innanzi tutto c’è la passione per la lettura, io sono un lettore onnivoro e, uno scrittore, se si ritiene tale, è obbligato a leggere molto. Lo scrivere è nato dall’idea di un caso che mi aveva colpito e che ho tradotto nel primo thriller, poi sono seguiti una raccolta di racconti, un romanzo storico, diversi saggi, racconti in diverse antologie di premi letterari. Oggi sono arrivato a dieci libri pubblicati».

Lei è stato anche autore di trasmissioni e documentari per televisioni locali. Per diffondere cultura sono a suo avviso più efficaci i libri o le tv?

«Entrambi direi, anche se ovviamente sono strumenti diversi. Il libro cartaceo, nonostante le nuove tecnologie, credo rimarrà ancora a lungo lo strumento principale per lo svago e l’apprendimento, il fascino dello sfogliare le pagine di carta non è ancora stato superato dall’ebook. La tv, tanto vituperata per le “trasmissioni spazzatura”, ha comunque dei meriti, basti pensare al maestro Alberto Manzi che ha veramente contribuito all’alfabetizzazione di questo paese, come pure Piero e Alberto Angela, a seguire Alessandro Barbero e Cristoforo Gorno, che tanto hanno fatto per portare nelle case e interessare la gente a temi ostici come la scienza e la storia».

Sta già lavorando a un nuovo libro?

«Una confidenza… sto lavorando a diversi libri: un romanzo, un saggio storico sui “40 giorni del terrore a Gorizia e Trieste”, e uno appena completato e in revisione sulla “Strage di Torlano” e i lavori della Commissione parlamentare d’inchiesta, poi un saggio di attualità appena iniziato. Al momento non soffro della “sindrome del foglio bianco”, perché ci sono ancora molte altre idee di libri da realizzare».

 

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