Lo sport e le donne senza diritti

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Anna Limpido

12 Marzo 2021
Reading Time: 4 minutes

Intervista con Gilda Lombardo

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Continua a far discutere il caso della pallavolista Laura Lugli, giocatrice del Volley Pordenone, in causa con la sua società dopo la rescissione del contratto conseguente all’essere rimasta incinta, caso che ha sollevato un’onda enorme di indignazione da parte di chi ha sempre lottato per i diritti delle donne.

Caso che, invero, è solo l’ultimo in ordine di tempo ove, non più tardi di qualche mese fa, un’altra pallavolista, questa volta in Emilia Romagna, è stata vittima di volgari insulti sessisti da parte della sua tifoseria perché incinta e quindi “avrebbe disatteso l’aspettativa di dedizione totale al campionato”.

Se da una parte è palese la discriminazione verso queste donne che non possono realizzarsi con indipendenza, dall’altra c’è sullo sfondo un ambiente, quello sportivo, dove la società ingaggia atlete per prestanza fisica e la gravidanza è parificata, di fatto, all’infortunio. Se non peggio.

Ne parlo con la ex pallavolista Gilda Lombardo (un curriculum lunghissimo alle serie più alte della pallavolo fino alla convocazione nella Nazionale italiana), per comprendere meglio i fatti che hanno investito la sua collega Lugli ed esplorare lo status delle pallavoliste che non si capisce se abbia tutele precise o è rimesso solo alla sensibilità del presidente della società.

Gilda, accompagnaci nell’ambiente della pallavolo femminile.

“Faccio subito una premessa: il rapporto tra atleta e società è mediato dai procuratori, agenti sportivi che si occupano di tutte le condizioni, economiche e giuridiche, della propria atleta. In virtù di questo, noi sportive non siamo chiamate alla trattativa diretta ma riceviamo contratti, sulla falsa riga di quelli sempre stati fatti nel nostro ambiente, che sono “carta straccia”: della durata di una stagione sportiva, senza corrispettivo ma con una mera stima forfettaria e una clausola severa di rescissione, con penali, che non necessariamente esplicita il caso dell’infortunio o della gravidanza, ma dell’impossibilità oggettiva alla prosecuzione del contratto stesso”.

Quindi se ti infortuni è colpa tua?

“Dipende: se ti infortuni nella struttura societaria o nel campionato sui campi no, anzi la tua società provvede alla tua riabilitazione, ma se ti infortuni altrove (sciando nel weekend, a casa nei lavori domestici) sì, è colpa tua. Il tuo contratto sarà rescisso e la pallavolista chiamata alle penali”.

Detta così la gravidanza è addirittura peggio perché non esiste il caso “a” (in struttura), quindi sarà sempre “colpa” della pallavolista?

“Si”.

Tu sei mamma di uno splendido bambino: come hai fatto allora?

“Ho pianificato la gravidanza al termine di una stagione di campionato e ho perso consapevolmente quella successiva, perdendo qualunque entrata economica, per stargli vicino nell’età più tenera. Una scelta che io ho fatto da giovane e nonostante questo il mio recupero fisico, dopo quasi due anni di inattività, è stato faticosissimo. Per questo moltissime sono le pallavoliste che non trovano mai “il momento giusto” rimandando poi all’infinito il loro desiderio di diventare madre”.

Il “caso Lugli” ha sicuramente scoperchiato un pentolone di problemi, ma forse il primo è la differenza di tutele tra i cosiddetti “professionisti” e “dilettanti”, dove, a quanto pare, solo i primi hanno contributi, tutele, pensione… Tu eri una pallavolista appartenente al campionato professionistico?

“No, nessuna donna lo è: per quanto, a certi livelli, sia un lavoro vero e proprio che occupa tutto il giorno, compresi i weekend per 8 mesi l’anno, solo gli uomini possono essere inquadrati come professionisti e ricevere tutele contributive oltre ad avere un corrispettivo e non un rimborso forfettario”.

Eppure tu sei stata pure convocata dalla Nazionale…

“La cosa più assurda è che oggi tutti ne parlano indignati quando fino a ieri nessuno se n’è interessato nonostante questa situazione perduri da sempre ed è sotto gli occhi di tutti”.

L’ex ministro dello sport Vincenzo Spadafora ha varato, nel 2020, il Decreto sullo sport dove equipara le tutele dei professionisti a quelli dei campionati dilettantistici, dunque capiamo che è finalmente una svolta a favore, in particolare, delle donne sportive.

“Lo spero, peccato che anche in questa occasione tutte le federazioni sportive e Coni incluso non abbiano accolto con fervore questo cambiamento, tant’è che entrerà in vigore solo dal 2022 e poi comunque l’ultima parola ce l’hanno sempre le Federazioni che, pure in questo caso, sceglieranno il contratto da applicare. Non è facile la vita delle donne nello sport e non solo per questo: se pensiamo anche al “dopo”, a quando la carriera finisce per una qualsiasi ragione, sarà ancora peggio perché una sportiva viene sputata fuori dai campionati professionistici per trovarsi di colpo senza lavoro, senza una competenza ulteriore da spendere e un’età che grida gli ultimi anni per diventare madre”.  

Gilda come possiamo – io nella veste di Consigliera di parità, e tutte le Consigliere sparse in giro per l’Italia – aiutare per una radicale inversione di tendenza volta a fissare tutele precise?

“Il Decreto dell’ex ministro Spadafora è solo l’inizio di un percorso che va accompagnato nella sua attuazione. In tutte le Federazioni. Per tutte le donne sportive”.

 

Anna Limpido

Consigliera di Parità Area Vasta Goriziana

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