Le note della libertà

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Giuliana Dalla Fior

10 Settembre 2015
Reading Time: 8 minutes
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Laura Furci

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Musicista di vasta ed eclettica cultura, sensibile e sincera, sempre coraggiosa e realista, ma soprattutto donna di notevole ricchezza interiore, cresciuta anche nel confronto con gli altri. È un’artista vera, che percorre il cammino del suo esistere senza illusorie aspettative, ma con grande consapevolezza e determinazione, severa con se stessa e con gli altri. Laura Furci vive per la musica e regala note straordinarie, che inducono a riflettere coloro che ascoltano… anche il “fluire dei suoi pensieri”.

Pianista di formazione classica, cantante di straordinaria vocalità e originalità, compositrice, autentica rivelazione tra i grandi del jazz: tutto ciò quanto gratifica e quanto complica la tua vita?

«Tutto ciò fa parte di me. La musica è sempre stata una grande passione fi n da piccolissima: cantare mi faceva sentire meglio, mi faceva passare la paura. Da quando ho cominciato a emettere suoni, ho cominciato anche a cantare. Avevo 3 anni quando cantavo alla nonna le canzoni che mi insegnava la mamma. A 5 sapevo a memoria il vinile di De Andrè che ascoltavo  ininterrottamente. La mia favorita era “La ballata dell’amore cieco”. Le sere d’estate in giardino, negli anni seguenti, continuavo a cantare accompagnata dalla chitarra di mio padre. Poi ogni scusa era buona: il coro della chiesa, quello degli scout, il primo gruppo rock, il conservatorio, la passione per la musica classica, per piano solo e da camera, poi la passione per il jazz, la bossa nova, il flamenco, il cantautorato italiano e spagnolo, tutte vissute “dal vivo”, cioè viaggiando e andando a cercare la musica nei luoghi in cui vive. Non c’è stato un giorno della mia vita che io ricordi in cui non abbia cantato, suonato o scritto musica. E tutto ciò gratifica la mia vita».

Com’è nato il tuo rapporto con la musica jazz?

«Un giorno è giunta fra le mie mani una raccolta di CD di Ella Fitzgerald, regalatami da mia madre, che ha destato immediatamente la mia curiosità: da lì ho cominciato ad ascoltare anche tantissime altre cantanti americane e a trascrivere ciò che cantavano. Il jazz mi sembrava un sinonimo di libertà nella musica, dopo gli insegnamenti della classica, e così mi ci sono appassionata, a modo mio».

Sei così eclettica perché, come hai asserito, “vivi il tempo come un costante presente”?

«Sono eclettica perché sono curiosa. Perché penso che la vita sia un dono meraviglioso e che ciò che ci troviamo davanti all’inizio non debba per forza essere quello che ci troviamo davanti per sempre. C’è tanto da imparare e da scoprire e non mi accontento mai. Vivere il presente non significa fare tutto quello che casualmente ci accade o non pianificare mai nulla. Ma vuol dire essere coscienti di quello che accade, mentre accade. Usare completamente i nostri sensi, essere dove ci si trova, osservare senza interpretare ogni cosa che abbiamo intorno, lasciare che le cose accadano. Vivere il presente significa sentire il potere che ha ogni momento se vissuto con pienezza e senza cercare di controllare sempre tutto. La musica mi fa sentire così: mentre suono, vivo al 100% nel momento presente. Non c’è sensazione più bella al mondo».

Hai mai avuto un mito, un modello cui avevi pensato di ispirarti?

«No. Penso che i miti siano tali perché sono riusciti a essere se stessi. Certo ci sono molte persone che insegnano, ispirano, e spesso non sono musicisti».

Originaria di Codroipo ma artista “giramondo”: ti esibisci e vivi tra Spagna, Berlino, New York, senza disdegnare Parigi o altri palcoscenici europei. Quali rapporti conservi con la tua famiglia e con la tua terra?

«Amo la mia terra, la sento in ogni cellula, come è normale che sia. I colori, gli odori, i sapori di ogni stagione in Friuli non finiranno mai di sedurmi. Amo la mia famiglia, anche se non mi ha sostenuto nelle mie scelte. Questo alla lunga pare essere un punto cruciale nella mia esistenza. Fare tutto da sola mi ha generato sofferenza, ma allo stesso tempo mi ha dato molto, perché posso davvero dire che ogni cosa che ho fatto me la sono sudata. Per uscire dalla sofferenza bisogna andare a fondo, e io nei miei nove anni all’estero, l’ho fatto».

In arte sei “Magnetica”, perché questo pseudonimo?

«Quando ho cominciato a proporre il mio repertorio di musica originale, l’eclettismo che lo caratterizzava rendeva (e pare tuttora renda) difficile una catalogazione, tanto agognata dai critici e da chiunque debba trasformare la musica in parole. Ciò che spesso mi capitava però, a fi ne concerto, era sentirmi dire che la mia musica aveva catturato gli spettatori, che per effetto di un misterioso “magnetismo” si sentivano poi chiamati a venire ad ascoltarmi nuovamente e a incuriosirsi per le mie canzoni. Addirittura mi sono state inviate delle lettere o dei bigliettini con su scritto proprio “la tua musica è Magnetica”, quando ancora nemmeno io sapevo esattamente di che “genere” fosse ciò che scrivevo. Questo definire “Magnetica” la mia musica, unito al fatto che credo fermamente nel “magnetismo” tra persone che emanano energie simili, ha fatto nascere lo pseudonimo».

Musicista ma anche dottoressa in Scienze Politiche Internazionali con 110 e lode all’Università di Trieste…

«Dopo il diploma in pianoforte classico, ottenuto anch’esso a Trieste, avrei preferito proseguire con gli studi musicali, nell’ambito del jazz. Ma per varie ragioni, tra le quali la decisione dei miei genitori, non ho potuto farlo e ho quindi “ripiegato” (anche se poi tale scelta si è rivelata una grande scelta!) su Scienze Politiche Internazionali. Anche grazie alla borsa di studio che la facoltà mi ha concesso ho potuto studiare per un intero anno alla prestigiosa facoltà di Politica Internazionale dell’Università Complutense di Madrid. La Spagna si stava aprendo un cammino nella mia esistenza, ma era solo l’inizio di una meravigliosa avventura, che poi mi ha fatto approdare a Barcellona, Càdiz, da lì New York e poi Berlino, tutte città nelle quali ho vissuto per almeno un anno».

Oltre che molto brava sei anche molto bella. Nella tua carriere quanto ti è giovato l’aspetto estetico nel rapporto con i grandi musicisti?

«Il mio aspetto estetico credo faccia parte semplicemente del riflesso del modo in cui sono e in cui tratto il mio corpo. Un sorriso, una passeggiata o seguire i propri sogni ci rende più attraenti. Non penso di essere più bella di moltissime altre o altri artisti. Devo dire che a volte mi ha creato più problemi che benefici, non tanto all’estero, dove la questione “donna oggetto” è spesso superata, quanto in Italia, dove alcuni cliché vivono ancora indisturbati. E io mi rifiuto di comportarmi di conseguenza».

E infatti anche il tuo prossimo lavoro verrà registrato all’estero…

«Dopo “Think con la tua cabeza”- New York, proprio a fi ne settembre vedrà la luce “Think con la tua cabeza”- Madrid, che presenterò in Italia a ottobre con un concerto alla Tenuta Villanova di Farra d’Isonzo».

Hai duettato con Al Jarreau e sei stata al fianco di musicisti quali David Binney, John Escreet, Zack Lober, Greg Ritchie, Ugonna Okegwo, Colin Stranahan, Michael League… In Spagna sei ormai una star.

«In Spagna i miei concerti e la mia musica sono stati recensiti sul primo giornale generalista del Paese, “El Paìs” e ho suonato con musicisti di grandissimo calibro, come Javier Colina e Guillermo McGuill. Anche in America la recensione che ha fatto “All about Jazz” sul mio ultimo disco ha generato una certa risonanza. Ma resto abbastanza indifferente: il mio desiderio di fare musica nasce da una necessità di espressione, da un bisogno esistenziale, che rende qualsiasi audience una audience perfetta e speciale. Anzi, penso che le situazioni intime siano quelle in cui si comunica di più».

Il segreto per la tua forma smagliante?

«Non so se sono in forma smagliante, ma visto che il corpo è anche il mio strumento musicale, cerco di trattarlo il meglio possibile. Avere un concerto per me richiede una preparazione che incomincia con l’essere in salute e per essere in salute ascolto il mio corpo il più possibile. Mi piace stare a contatto con la natura e mi ritaglio ogni giorno un momento per farlo. Mi piace anche sapere cosa mangio e imparare a farlo nel modo più salutare possibile. Respiro profondamente, sorrido, perdono».

Per una giovane donna friulana è difficile imporsi musicalmente sullo scenario internazionale?

«Non desidero “cercare di impormi”, semplicemente canto quello che sento e ricevo in cambio tanto amore ovunque vada. Mi sento fortunata. Il pubblico che mi ascolta mi dà gioia e ispirazione, specialmente. Noto anche che alcune culture sono particolarmente sensibili ai miei testi e alla mia musica, sia a New York che a Madrid che a Berlino. E ho ricevuto soddisfazioni ancora maggiori dal pubblico cinese e giapponese. Sto percorrendo il mio cammino».

Nella cultura italiana, invece, a tuo avviso cosa andrebbe cambiato?

«In Italia tutto funziona attraverso il corporativismo. Invece le vere soddisfazioni non nascono dall’appartenenza a un circolo chiuso di raccomandazioni in cui tutto è permesso per andare avanti».

Laura Furci si definisce ottimista o pessimista?

«Il pessimismo, la negatività, non sono mai il miglior modo di affrontare una situazione. Hanno l’effetto di bloccarci all’interno di essa, impedendo un vero cambiamento. Sono ottimista e cerco di esserlo. Nella mia canzone “The positive side” parlo proprio di questo. Mi piace circondarmi di persone che vedono il lato positivo delle cose, perché ci saranno sempre due aspetti in ogni situazione: a seconda di quello con cui decidiamo di “risuonare”, saremo felici o infelici».

Nella canzone “Think for yourself” lanci un messaggio: “Senti con la tua sensibilità, appassionati con la tua libertà e con i tuoi sogni e non con quello che gli altri si aspettano”. A chi è rivolto?

«Nel momento in cui ho scritto la canzone stavo mandando un messaggio a me stessa. Mi trovavo a New York e sentivo quanto la città mi stesse scuotendo a pensare con la mia testa. Ho pensato di includere il messaggio “Pensa con la tua testa” non solo nella canzone, ma anche come titolo del disco, perché è un suggerimento per chiunque: la vita non dura per sempre e il miglior modo di viverla è cercando di essere coerenti con se stessi, con la propria coscienza e sensibilità, che non è per forza quella di chi ci circonda, né spesso quella di chi ci ha dato la vita, o quella di chi si suppone ci debba insegnare qualcosa».

Hai affermato: “Spesso la famiglia, la casa, le radici non sono quelle che hai, ma quelle che trovi”. Vorresti che i giovani si sentissero cittadini del mondo?

«Essere cittadino del mondo non rende automaticamente migliore una persona. Ognuno ha il suo percorso, ognuno cresce e lotta a modo suo. Io non ho mai accettato le cose che mi sono state imposte e che andavano contro la mia vocazione, la mia sensibilità e la mia intuizione, nella quale credo più di ogni altra cosa. All’estero ho scoperto che la famiglia è chi ti vuole bene incondizionatamente. Che c’è molto di più di quello che ci fanno credere. Che non c’è da avere paura. Mi sento cittadina del mondo, ma non significa che tutti debbano fare il mio percorso. Ho conosciuto molte persone meravigliose che non sono mai uscite dalla propria città. È l’interiorità che ci rende speciali e più è ricca più siamo in grado di apprezzare quello che siamo e quello che abbiamo».

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