La meditazione “salva” le funzioni cerebrali

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Annalisa Casarin

9 Aprile 2015
Reading Time: 3 minutes
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Il cervello durante l’invecchiamento

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Il verbo meditare significa riflettere con attenzione. Meditazione (dal latino meditatio, riflessione) è la parola usata per esprimere qualcosa a metà tra la concentrazione e la contemplazione. La concentrazione è focalizzata su un punto; la contemplazione ha un raggio d’azione più ampio. Comunque sia praticata, la meditazione è una pratica per esercitare la mente, così come lo sport viene usato per allenare il corpo. È difficile risalire alla nascita di questa attività senza considerare il contesto religioso in cui è stata praticata.

Dati risalenti ai tempi preistorici indicano che anche le civiltà più antiche utilizzavano pensieri ripetitivi e canti ritmici per placare gli dei. Alcuni dei primi documenti scritti sulla meditazione risalgono al 1500 a.C. quando veniva praticata dai religiosi Hindù. Intorno al 500-600 a.C. i taoisti in Cina e i buddisti in India hanno cominciato a sviluppare pratiche meditative più strutturate. La meditazione legata alla religione cristiana nasce molto dopo quando, intorno al sesto secolo d.C., si è sviluppata dalla pratica di lettura della Bibbia da parte dei monaci benedettini. Ai giorni nostri la meditazione viene usata in tutto il mondo per combattere principalmente stress e ansia, ma diversi studi hanno dimostrato un intervento terapeutico su diverse altre patologie.

Benché la vita delle persone duri più a lungo, gli anni guadagnati spesso comportano il rischio di malattie mentali e neurodegenerative, ma uno studio recente ha dimostrato che la meditazione potrebbe rappresentare un metodo per ridurne l’incidenza. Essa, infatti, sembra preservare la materia grigia cerebrale, il tessuto che contiene i neuroni, agendo diffusamente sull’intera area del cervello.

Lo studio, pubblicato nella rivista Frontiers in Psychology, ha coinvolto due gruppi di volontari, di 50 soggetti ciascuno. Uno dei gruppi era costituito da persone esperte nell’arte della meditazione, con una pratica media di 20 anni. L’altro da non adepti. L’età degli esaminati era nel range 24-77 anni. Osservando il cervello di ciascuno nel corso del tempo, per tutti si è evidenziata un’atrofia della materia grigia anno dopo anno, ovvero la riduzione progressiva di volume. Ma per coloro che praticavano la meditazione la perdita di volume cerebrale negli anni appariva più contenuta.

Esistono diversi modi per meditare. Nel corso dei secoli infatti le varie tradizioni spirituali dell’oriente hanno sviluppato tecniche e percorsi diversi per lo sviluppo della coscienza attraverso la pratica della meditazione. Ciò nonostante rimangono dei fattori comuni importanti che accomunano tutte le diverse forme di meditazione. Uno di questi è lo sviluppo della consapevolezza dell’individuo. Che sia mindfulness, manthra o meditazione guidata, per citarne alcune, tutte le tecniche di meditazione possono essere incluse in due gruppi: meditazione concentrativa e quella analitica o non directive. La prima si focalizza sul respiro o su determinati pensieri che a loro volta bloccano altri. Durante la seconda, invece, chi la pratica focalizza l’attenzione sulla respirazione o su particolari suoni, ma alla mente è permesso di ‘vagare’ senza blocchi. La mindfulness meditation fa parte del primo tipo e viene definita come attenzione consapevole, intenzionale e non giudicante alla propria esperienza nel momento in cui essa viene vissuta. In origine una pratica buddista, questa tecnica molto in voga al momento è accettata come terapia per ansia e depressione. Viene praticata nelle scuole, da team sportivi e unità militari per migliorarne le prestazioni e sembra avere effetti benefici in pazienti colpiti da dolore cronico, sindrome del colon irritabile, cancro, tinnito e HIV. La meditazione renderebbe i sintomi di queste malattie più tollerabili migliorando inoltre l’umore e la qualità del sonno.

Uno studio in cui sono state fatte immagini di risonanza magnetica a soggetti sani ha rivelato che questa pratica antica può cambiare profondamente la comunicazione fra diverse aree del cervello. Dopo 8 settimane di mindfulness meditation l’amigdala, uno dei centri coinvolti nella reazione da stress, sembra restringersi e la corteccia prefrontale, una delle zone deputate all’elaborazione di coscienza, concentrazione e processi decisionali, appare più spessa. Inoltre, la connessione fra queste regioni e il resto del cervello sembra migliorare.

La meditazione sembra quindi proteggere il cervello dall’invecchiamento e lo difende dall’atrofia tipica degli anni a carico della materia grigia che solitamente si assottiglia col tempo. I dati disponibili sono promettenti e indicano potenzialità protettive contro l’inevitabile ‘decadenza’ cui la nostra mente va incontro già dai 20 anni in su.

Questo apre la strada a nuovi utilizzi della meditazione non solo nell’ambito dell’invecchiamento fisiologico, ma anche in quello di malattie neurodegenerative come l’Alzheimer.

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