Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo

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Massimiliano Sinacori

26 Febbraio 2013
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Addio lavoro

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La recente legge n. 92/2012 è intervenuta su vari aspetti del diritto del lavoro. In particolare, appaiono rilevanti le modifiche apportate in materia di licenziamento per giustificato motivo oggettivo: viene introdotta una rigida procedura preventiva che il datore di lavoro è tenuto a osservare. Le nuove norme si applicano ai licenziamenti intimati dopo il 18 luglio 2012, data di entrata in vigore della c.d. legge Fornero.

Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, ai sensi dell’elaborazione giurisprudenziale e dottrinale sviluppatasi intorno all’art. 3 della l. 604/1966, è quello determinato da ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa. Concretamente, le ragioni che legittimano il licenziamento sono riconducibili o a specifiche esigenze aziendali, ovvero a comportamenti e situazioni facenti capo al prestatore di lavoro se costituenti motivo di risoluzione del rapporto.

Il datore di lavoro che abbia alle proprie dipendenze più di quindici lavoratori nella stessa unità produttiva o nello stesso Comune, o comunque più di sessanta complessivamente, deve seguire la procedura indicata nel nuovo testo dell’art. 7 della l. 604/1966 secondo cui:

1. il datore di lavoro – che ritenga di trovarsi in una delle situazioni legittimanti il licenziamento de quo – prima di formalizzare il recesso dal contratto di lavoro, ha l’onere di inviare alla Direzione territoriale del lavoro del luogo in cui il lavoratore presta la sua opera e, per conoscenza, al lavoratore, una comunicazione scritta in cui siano indicati l’intenzione di procedere al licenziamento, i motivi specifici alla base dello stesso, nonché le eventuali misure di assistenza alla ricollocazione;

2. nel termine perentorio di sette giorni decorrenti dalla ricezione di quanto previsto dal punto 1, la Direzione territoriale del lavoro convoca il datore di lavoro per un incontro consistente in un tentativo di conciliazione da svolgersi innanzi alla commissione provinciale di conciliazione ex art. 410 c.p.c. L’incontro dovrà svolgersi e concludersi entro venti giorni dalla convocazione della Direzione territoriale;

3. decorsi i venti giorni, nel caso in cui non si arrivasse a un accordo, il datore di lavoro potrà comunicare il licenziamento al lavoratore in forma scritta, con la specificazione dei motivi che hanno determinato il licenziamento, nel rispetto del diritto del lavoratore a prestare il contrattuale periodo di preavviso oppure, in alternativa, a ricevere la relativa indennità sostitutiva. Qualora il lavoratore dovesse ritenere di essere stato illegittimamente licenziato ha diritto di impugnare il licenziamento. Entro sessanta giorni dalla ricezione della comunicazione del licenziamento, il lavoratore ha l’onere di far pervenire per iscritto al datore di lavoro l’intenzione di proporre impugnazione avverso il provvedimento. Nel termine dei successivi centottanta giorni, il lavoratore potrà adire l’autorità giudiziaria mediante deposito di ricorso al Giudice del lavoro.

Ai sensi del nuovo art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, se il licenziamento intimato per giustificato motivo oggettivo simuli, in realtà, un licenziamento disposto per ragioni discriminatorie o disciplinari, troverà applicazione la medesima disciplina sanzionatoria stabilita per i licenziamenti affetti da nullità perché discriminatori, per matrimonio, per maternità, per motivo illecito determinante, per difetto di forma.

Esclusa l’ipotesi descritta, la novella legislativa prevede due diversi regimi di tutela per il lavoratore a seconda della natura del motivo per il quale è stato disposto il licenziamento:

1. nel caso in cui il motivo non sia di natura economica (per motivi legati alla condizione del lavoratore quali l’inidoneità fisica o psichica, ovvero per superamento del periodo di malattia), ove venga accertata l’illegittimità dello stesso, al lavoratore spetta la reintegrazione in servizio e il risarcimento del danno per le retribuzioni perse dalla data del licenziamento alla effettiva reintegrazione, oltre al versamento della correlativa contribuzione previdenziale. L’entità del risarcimento non può superare le 12 mensilità. Dall’entità del danno dovranno essere detratti il cd. aliunde perceptum (i guadagni che il lavoratore ha percepito per lo svolgimento effettivo di altre attività lavorative) e il cd. aliunde percipiendum (i guadagni che avrebbe potuto percepire dedicandosi con diligenza alla ricerca di una nuova occupazione);

2. nell’ipotesi in cui, invece, il motivo del licenziamento sia di natura economica, la nuova disciplina prevede che il Giudice possa applicare la medesima disciplina già descritta – la reintegrazione e il risarcimento – nel caso in cui si accerti la manifesta insussistenza del fatto posto a giustificazione del licenziamento. È previsto, invece, il pagamento di una indennità risarcitoria da un minimo di 12 ad un massimo di 24 mensilità dell’ultima retribuzione globale, nei casi di licenziamento per motivi economici che risultino sì infondati, ma non manifestamente insussistenti. Nella determinazione dell’indennità risarcitoria tra il minimo e il massimo, il giudice deve tener conto del numero dei dipendenti occupati dal datore di lavoro, delle dimensioni dell’attività economica, del comportamento e delle condizioni delle parti. Sotto il profilo procedurale la nuova legislazione è decisamente innovativa: prevede che, a seguito della presentazione del ricorso, il Giudice del lavoro fissi con decreto l’udienza di comparizione delle parti. L’udienza deve essere fissata non oltre quaranta giorni dal deposito del ricorso. La sentenza, completa di motivazione, deve essere depositata in cancelleria entro dieci giorni dall’udienza di discussione, con evidente abbattimento dei tempi processuali rispetto ai sessanta giorni previsti per il deposito della sentenza motivata nel procedimento ordinario del rito del lavoro.

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