Gli anziani? Bisogna trattarli bene!

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redazione

26 Settembre 2014
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Terza età

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“Gli anziani bisogna trattarli bene” ha risposto un bambino della Scuola dell’Infanzia alla sua maestra che raccoglieva riflessioni sulla visita alla casa di riposo comunale. Chi sono gli anziani agli occhi di quel bambino?

Cosa rappresentano? Quando uno può essere definito anziano? E vecchio? E l’etichetta che altri fanno indossare coincide con la percezione propria della persona?

Nuovo come antitesi a vecchio, bambino come contrapposizione ad anziano, nipote come prosecuzione di nonno e così via rappresentano le due facce di una stessa medaglia.

Un tempo, erano gli anziani del villaggio a detenere il potere proprio perché possessori della massima conoscenza e di una valida esperienza. Se pensiamo alla etimologia del termine, la parola anziano deriva dal francese ancien, ossia antico, e dal latino antianus, ossia prima, e dunque colui che viene prima.

Allora, ci chiediamo: quando una persona viene definita anziana o, con altro termine ormai andato in disuso perché ritenuto volgare, vecchia? Esiste uno “sbarramento”? È sempre stato così?

A oggi, per convenzione sociale, una persona viene definita anziana quando raggiunge un età tra i 60 e i 65 anni, periodo che è stato associato al momento del pensionamento, inteso come occasione di riposo, di rilassamento dell’attività mentale e fisica. Ma è proprio vero che oggi a 65 anni uno sia da considerare “antico”? E se anche fosse, perché questo deve assumere una connotazione negativa? D’altra parte, molti liquori sono apprezzabili solo se invecchiati. E alcuni oggetti assumono valore proprio nel loro processo di invecchiamento, diventando antiquariato.

O ancora, alcune persone che maturano esperienza sono definite veterani, conglobando in questo termine, tutta la memoria pregressa e l’esperienza che hanno vissuto. Se assumiamo per valida l’età definita per convenzione sociale succede poi che, con il raggiungimento dell’età pensionabile, una persona rinasca, ringiovanisca perché può finalmente disporre a suo piacimento del tempo; sulla base di ciò, si parla di Terza età, come terza fase della vita, dopo l’infanzia e l’età adulta. In questo periodo, l’uomo e la donna possono realizzare quanto non hanno potuto fare prima, perché impegnati nella attività lavorativa e/o nella cura dei figli, della casa o magari dei genitori anziani. La Terza età è il momento per godere di quanto si è rimandato nella vita lavorativa in vista di un domani più sicuro, sereno, libero da preoccupazioni o incombenze.

Quale valore aggiunto può dare un anziano all’interno della società moderna? Come il momento della senilità può svilupparsi giorno dopo giorno? Se pensiamo a quelle persone che, all’ingresso nella Terza età godono di tutte le loro capacità fisiche e cognitive, questo periodo può essere un tempo dedicato a se stessi, per accrescere la propria cultura e conoscenza (pensiamo all’università della Terza età), per conoscere il mondo, con viaggi organizzati, oppure all’altro, nella cura dei propri nipoti, nella ricerca di una nuova figura con cui condividere il tempo residuo, con impegno nel volontariato verso chi è meno fortunato.

Già, perché non sempre, non per tutti, quel tempo tanto atteso si concretizza nel modo sperato. Oppure, non sempre quel tempo arriva. O ancora, quel tempo che tanto si desiderava, diviene ora lento e difficile da riempire. Il disegno divino è vario ma ignoto a tutti. Il tempo previsto di felicità nell’età anziana può divenire tempo di rimorso e di rimpianto per quanto si doveva fare e non si è fatto. La senilità è anche malinconia per la dipartita delle persone care con cui si sono condivise esperienze, gioie e dolori; è ricordo dei fatti della vita che hanno plasmato la persona e l’hanno fatta diventare quella che in realtà è. Al contrario, può essere gioia per quanto fatto: la famiglia che si è creata e che ora segue le tracce e si sviluppa, i gesti che si sono compiuti che proseguono al di là di noi, il corpo, inteso come insieme indissolubile di anima e fisico, che risponde in modo conscio ai segnali che il cervello invia.

La senilità, però, è anche periodo dai toni più scuri, cupi, malinconici. Sono risaputi fatti in cui gli anziani, già deboli, diventano oggetto di truffe, di raggiri, di violenza. Tornando al concetto iniziale, “gli anziani bisogna trattarli bene”, ci viene da chiederci: che cosa dobbiamo intendere con il termine “bene”? Il significato che quel bambino ha associato alla parola, è il medesimo per gli anziani cui era rivolto? E per noi adulti? Quando parliamo di bene rispetto alle modalità e ai comportamenti da attuare verso gli anziani, pensiamo al loro benessere fisico, materiale, tangibile, legato a uno stato fisico di cura della persona o ci rivolgiamo al bene immateriale, quello collegato al bene dell’anima e dello spirito? Il bene che vogliamo per gli anziani ni si declina in un tetto sopra la testa, in un pasto caldo già pronto, in un sistema di assistenza qualificato che possa soddisfare i loro bisogni primari oppure si caratterizza in una rete sociale contraddistinta da parole quali affetto, benevolenza, presenza fisica, compagnia empatica? Possono coesistere entrambe le cose?

 Domanda retorica, quest’ultima potrebbe sentenziare qualcuno. Eppure, nell’attuale società, l’evoluzione del modello famigliare può portare a dover effettuare una scelta tra la cura dell’anziano non più autosufficiente all’interno delle proprie mura domestiche e la delega di tale processo di cura a favore di strutture qualificate. D’altra parte, anche l’assistenza agli anziani nelle strutture a loro dedicate si è evoluta nella concezione e nell’approccio. L’evoluzione del concetto di assistenza in struttura va di pari passo con il progressivo sviluppo e il sostegno all’assistenza domiciliare, intesa come servizio di sostegno svolto presso il domicilio dell’anziano, a intervalli predefiniti e rispetto a una serie di azioni, quali lo svolgimento di commissioni, la cura della persona, l’igiene della casa e l’accompagnamento.

Al centro dei servizi, viene posto l’utente anziano nella sua globalità, come persona dotata di sentimenti, emozioni, carattere. La presa in carico ella persona anziana quali criteri dove considerare? E chi valuta questi servizi? È possibile coinvolgere anche lo stesso anziano nella valutazione del servizio a lui dedicato? E se sì, in che

termini? Quale apporto possono dare le scienze e l’approccio filosofico a concepire questo? Possono essere anche validi supporti per affrontare la morte, il funerale, il dopo vita? Tanto nei confronti dell’anziano, quanto della famiglia, laddove presente, che se ne prende cura.

Queste considerazioni derivano dalla consapevolezza scientifica che la popolazione anziana è destinata a crescere progressivamente tanto in termini quantitativi quanto qualitativi e, parallelamente, non ci si aspetta una crescita della popolazione giovanile che ne possa bilanciare il piatto sulla bilancia sia sul piano economico sia a livello sociale. Saremo sempre più anziani e sempre meno giovani.

La senilità corrisponde dunque al traguardo del nostro percorso di vita su questa terra o come essa, è una tappa del viaggio della vita che muta nell’essenza ma non nella sostanza? E ritorneremo al nostro punto di partenza. Per conoscerlo. Per la prima volta (T.S. Eliot).

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