Giovani artisti al bivio

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Michele D'Urso

21 Luglio 2017
Reading Time: 4 minutes
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Elisa Brotto

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Diciamolo, la vita va un po’ a caso: ci sono cose che accadono senza nostra espressa richiesta. Per noi che siamo negli ‘anta’, uno di questi eventi ineluttabili era il Servizio di Leva, militare o civile che fosse. A causa sua ti ritrovavi a gestire una armeria o una biblioteca senza che tu ti fossi mai interessato né a un bazooka né ai classici russi. Ma poi, grazie a quel caso, qualcuno si appassionava e diventava un perito balistico o un letterato.

Per Elisa Brotto, bisiaca ronchese della frazione di Vermegliano, classe 1992, diventare un’artista è stato un mix tra la propria essenza e la casualità. «In me – confida – la passione per l’arte è innata, tanto che ho conseguito il diploma all’Istituto d’Arte. Tuttavia prima di incontrare il maestro Dario Puntin, conoscevo sì bene l’arte musiva, ma non avrei mai pensato che, nella variante del mosaico ceramico, potesse divenire per me una vera e propria attività».

Quando frequentava la scuola quali erano le sue passioni?

«Durante gli anni dell’Istituto d’Arte, oltre alla passione artistica, covavo anche quella per lo sport. Mi piaceva, e mi piace molto, fare ginnastica in genere; all’epoca praticavo l’atletica, specialità salto in lungo, e mi sarebbe piaciuto competere nel tempo. Purtroppo un infortunio alla caviglia mi ha bloccata ancora prima di poter capire se avessi la possibilità di fare bene. Poi l’Istituto d’Arte non era ancora il Liceo Artistico di oggi, c’erano tanti laboratori e trovare il tempo e le energie per sostenere tre allenamenti settimanali era proprio difficile».

Preso il diploma si è così trovata al centro del Carrobbio (come i letterati amano chiamare l’incrocio) con il dilemma della vita: quale strada lavorativa prendere?

«Decisi di non iscrivermi ad Architettura, scelta invece quasi obbligata per chi ha il mio diploma. A me però piace andare un po’ controcorrente, esplorare terreni nuovi, così volli tentare Scienze Ambientali, dove però la mia preparazione scolastica non era proprio quella più adeguata. E finì che non ce la feci».

E qui entra in gioco il caso: proprio in quella fase di stallo avvenne l’incontro con il maestro Puntin…

«Mi chiese se volevo provare il mosaico ceramico applicando una tecnica di sua invenzione: fu passione a prima vista. Rimasi affascinata dalle sue opere e da quelle della sua allieva, che però conosco solo di nome e per le sue realizzazioni, poiché ha deciso di trasferirsi in Cile, la sua terra natale».

Impara l’arte e… non metterla da parte.

«Dopo aver acquisito la padronanza della tecnica ho partecipato a un concorso promosso dal Centro Giovani del Comune di Monfalcone e dalla cooperativa ‘Thiel’, vincendolo con il mio progetto. Così ho ottenuto i fondi per coprire le spese dei materiali necessari al laboratorio di ‘Mosaico Ceramico Urbano’ che sto conducendo assieme al mio team, sempre presso il Centro di Aggregazione Giovanile e che si tiene ogni martedì sera».

In cosa consiste il suo progetto?

«Abbellire la città, questo è il mio sogno-progetto; solo che stiamo ancora aspettando il sito sul quale potremo farlo diventare realtà. Sostanzialmente a noi servono muri; anonimi mattoni o pannelli che siano, per dargli colore, bellezza, che sia energia

per gli occhi e l’umore. Difficile da immaginare, ma tanti edifici ‘sgraziati’ sono sotto vincolo per valore storico o altro».

Se è bello ciò che piace e non ciò che è veramente bello, anche la bruttezza ha i suoi appassionati… Ma lei di cosa ha bisogno per realizzare i suoi progetti?

«La mia è un’arte ecologica, in quanto si usano materiali di risulta, come le piastrelle di ceramica tolte di opera e destinate allo smaltimento nelle discariche; questo è senz’altro uno dei motivi per cui mi sono appassionata a quest’arte: perché a me piace dare vita alle cose, in questo caso una nuova vita. Nella sostanza poi, per realizzare le mie opere, mi occorrono tre cose: le piastrelle di ceramica, un disegno e, soprattutto, un posto dove realizzarlo. Infatti uno dei miei primi lavori è stato adornare le mura dei locali dell’azienda agricola di famiglia».

Usa solo ceramica?

«No, anche terracotta e vetro; ma lavoro con materiale omogeneo, non mi piace mischiarli, almeno per il momento. Magari in futuro mi appassionerò a qualche altro materiale, come il ferro, oppure adotterò tecniche miste».

Perché non si dedica al mosaico classico?

«Lo trovo troppo ‘impostato’ per i miei gusti, quasi fosse una specialità completamente diversa. Anche io devo lavorare le piastrelle per dargli la forma voluta ma, rispetto al mosaico classico, sento di aver più strade da seguire per raggiungere lo scopo. Trovo la mia tecnica più adatta a me, più facile per me».

Il corso le basta per sviluppare la sua arte?

«No. Sto valutando di creare un’associazione artistico culturale, ma ho bisogno di soci, sempre difficili da trovare sia per le capacità che per la disponibilità. E queste difficoltà mi obbligano alla ricerca di altre fonti di interesse e di reddito».

Come recitava Jennifer Beals in ‘Flashdance’: “Bisogna pur vivere, prima di diventare famosi”…

«Di questi tempi è difficile garantirsi un reddito con l’arte. Nessun tipo di lavoro mi spaventa, ma non sto pensando di fare la saldatrice come la protagonista del film… Però ammetto che sto pensando di affiancare al mosaico un’altra attività».

Quale?

«Può sembrare strano, ma il pallino dello sport è rimasto sempre vivo in me. Nell’ultimo periodo si è addirittura ingigantito. Sono tornata ad allenarmi con una certa regolarità e tenterò di prendere i brevetti di istruttore di fitness. E poi chissà che sarà…»

Concludo porgendo il mio ‘in bocca al lupo’ a Elisa Brotto, ma stavolta voglio aggiungere qualcosa ai soliti auguri. Voglio fare il ‘balavedristico’, il veggente: io me lo vedo già il palazzetto dello sport di Monfalcone adorno di un suo bellissimo mosaico raffigurante l’Ercole Farnese.

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