“Attivare un progetto pilota nazionale da realizzarsi in Friuli Venezia Giulia che incentivi ulteriori collaborazioni e intese territoriali tre le università, innervandosi in una politica premiale che il Ministero ha già avviato verso gli atenei”. Il rettore dell’università di Udine, Alberto Felice De Toni, lancia questa proposta al ministro dell’Università Carrozza nel suo discorso di inaugurazione dell’anno accademico 2013-2014 dell’Università di Udine. A 36 anni dalla sua nascita, forte di risultati che dimostrano l’eccellenza della sua ricerca e della didattica, l’ateneo friulano (formato da una comunità universitaria di 18 mila persone, 16 mila iscritti, 14 dipartimenti, 35 corsi di laurea triennale e altrettanti magistrale e 12 corsi di dottorato) deve fare i conti con la costante diminuzione di risorse economiche e con l’esigenza di un rilancio, che passa anche attraverso una maggiore collaborazione con gli atenei regionali.
Il progetto pilota delle università del Fvg. “Il Friuli Venezia Giulia è l’unica regione italiana dove dal 2013 è attivo un Tavolo Tecnico Permanente di Coordinamento tra tutte le realtà universitarie presenti – ha ricordato De Toni -, istituito con l’accordo di programma che regola i rapporti di cooperazione tra le Università di Udine e di Trieste, e della Sissa”. Una collaborazione che si è consolidata con l’attivazione di 6 corsi di laurea magistrale e di 6 dottorati di ricerca interateneo, oltre alla collaborazione nelle lauree sanitarie già attiva con una triennale. Il percorso intrapreso, “segno di un terreno fertile su cui coltivare nuove iniziative”, rientrano “nel solco di una politica del Paese volta a sfruttare le sinergie territoriali del sistema universitario nazionale. Inoltre – ha continuato De Toni – in Friuli Venezia Giulia sono presenti numerosi e qualificati enti di ricerca ministeriale, condizione necessaria per testare e favorire processi di osmosi tra il sistema dell’università e quello della ricerca. La proposta, nel quadro dei principi guida del nuovo Piano Nazionale della ricerca 2014-2020, vuole aprire nuovi spazi di accesso ai fondi europei Horizon 2020 e favorire anche intese pubblico-private per mobilitare nuovi fondi”.
La risposta non si è fatta attendere da parte del ministro dell’Università Maria Chiara Carrozza , soddisfatta di poter inaugurare l’anno accademico oggi a Udine e a Trieste, “accompagnando l’ateneo friulano nel viaggio che ha intrapreso di sempre maggiore collaborazione e, quindi, potenziamento del sistema universitario a livello regionale”. In che modo? “Bisogna guardare a un orizzonte ampio di attrazione dei cervelli e ci si deve alleare con gli enti di ricerca del territorio oltre che con le altre università – ha detto Carrozza -. È opportuno avere un piano strategico regionale in cui le università e gli enti di ricerca esistenti sul territorio si parlino e diano un segnale importante”. Il ministro ha richiamato l’università ad un’assunzione di responsabilità. “Chiedo la massima collaborazione da parte dell’élite intellettuale di questo Paese, che è rimasta marginalizzata, è stata poco ascoltata e si è fatta poco sentire. Voglio partire – ha concluso Carrozza – dall’ottimismo che affida alla ricerca e all’università, legate alla cultura, la capacità di poter far rinascere questo Paese”. Tra le sfide, la formazione dei futuri insegnanti, che deve essere una delle priorità degli atenei. “La comunità accademica dovrà decidere una volte per tutte dove, come e quali competenze devono avere i professori, come si formano e progrediscono in carriera gli insegnanti”. È poi l’organizzazione accademica: “l’organizzazione dei saperi deve stabilire con precisione i ruoli dei corsi di laurea in corrispondenza con un mercato del lavoro che è cambiato”.
La risposta non si è fatta attendere nemmeno da parte del presidente della Regione Fvg, Debora Serracchiani. Quest’ultima, parafrasando la prolusione di Angelo Vianello, ha sottolineato “convenga cooperare tutti più che continuare a competere tra di noi”. Un chiaro invito dunque ad “una sempre maggiore integrazione e collaborazione tra atenei”, sottolineando come “università, cultura, alta formazione, ricerca sono le punte avanzate sulle quali ogni società mette alla prova le sue capacità di entrare nel futuro da protagonista, oppure da gregario”. Parlando della crisi che stiamo attraversando, “non solo di matrice economico-finanziaria ma anche sociale, culturale, politica ed etica”, Serracchiani ha confermato non solo quanto sia “centrale il ruolo del proprio sistema universitario (Udine, Trieste, Sissa) come motore dello sviluppo socio-economico del territorio”, ma anche quanto la Regione consideri “le straordinarie competenze del sistema universitario come un formidabile propulsore per migliorare la qualità della vita dei cittadini del Friuli Venezia Giulia, per favorire la coesione sociale, affiancando queste competenze alle politiche regionali, pur consapevoli – ha concluso la governatrice del Fvg – che gli interventi dovrebbero essere di altra dimensione”.
L’esigenza di un rilancio. Il rettore De Toni, nel suo discorso, ha poi affrontato il tema dei finanziamenti.L’Ateneo friulano sconta da oltre 20 anni un pesante sottofinanziamento (ben 94 milioni di euro soltanto dal 2001 al 2008), perché le regole ministeriali stabiliscono finanziamenti basati sulle dimensioni degli atenei nel 1993, quando l’ateneo friulano contava soltanto 9.200 studenti. Oggi ne ha oltre 16 mila e nemmeno la quota premiale, basata sui risultati di ricerca e didattica e introdotta dal 2009, è riuscita a compensare del tutto i tagli che tutte le università subiscono ogni anno dopo l’entrata in vigore legge Tremonti. Nel 2013 l’università di Udine si è posizionata al 6° posto su 54 atenei, piazzandosi davanti ad atenei più consolidati quali l’Università di Bologna e i Politecnici di Milano e Torino. “La logica è chiara – spiega De Toni – chi va bene subisce meno tagli”. Ma se la quota premiale venisse calcolata sull’intero finanziamento, nel 2013 l’ateneo avrebbe avuto diritto a ben 14 milioni di euro in più. “I numeri positivi non possono comunque cancellare un ridimensionamento che la crisi del Paese e la conseguente riduzione del Fondo di funzionamento ordinario (Ffo) ha comportato anche per il nostro ateneo negli ultimi anni” ha sottolineato il rettore, snocciolando una serie di cifre che dimostrano l’esigenza di un rilancio. Il finanziamento ordinario statale (Ffo) è diminuito di 6,7 milioni di euro in 5 anni passando da 78 milioni di euro nel 2009 ai 71,3 del 2013. Negli ultimi sei anni l’università di Udine ha perso 77 docenti di ruolo, 55 unità di personale tecnico-amministrativo non di ruolo, 9 corsi di laurea triennale, 14 lauree magistrali,13 master e 8 corsi di dottorato. Gli iscritti sono passati da quasi 18mila ai 16mila. “Di fronte a questa situazione storica di sbilanciamento dei finanziamenti nazionali, il Consiglio Regionale del Fvg ha riconosciuto, con la legge regionale 2 del 2011 sul finanziamento del sistema regionale universitario, la necessità di interventi perequativi. Rimaniamo in fiduciosa attesa del regolamento attuativo di questa legge regionale”, ha detto De Toni, ringraziando la Regione per i 5,7 milioni di finanziamenti annuali, ma segnalando anche che l’ateneo ne versa ogni anno 7,5 milioni tra imposta regionale Irap, addizionale regionale e Iva regionale. “In questa partita di giro tra fondi regionali e fondi statali io reputo che ci sia lo spazio per un maggior sostegno al sistema universitario” ha sottolineato De Toni, rimarcando anche quanto sia “sempre più necessario essere competitivi nell’attrazione dei fondi europei ed efficaci nel saper spendere bene le risorse ottenute”.
La dimensione ottimale degli atenei. Un sistema universitario sempre più lontano dai parametri europei, come ha detto il rettore, ricordando che l’Italia investe soltanto 109 euro per abitante sul finanziamento al sistema universitario, mentre la Gran Bretagna è a quota 156 euro, la Spagna a 157, la Francia a 303, la Svezia a 660 e la Norvegia a 731, e che le migliori dieci università al mondo (tra cui Harvard, Stanford, Oxford, Cambridge, Berkeley, MIT ecc.) hanno un numero di studenti medi per ateneo pari a 16mila e di docenti medi pari a 2.300 con un rapporto medio di 7 studenti per docente. Udine rientra già in questi parametri come numero di studenti, mentre ha 3,5 volte in meno il numero di docenti degli atenei migliori del mondo. “L’auspicio – ha detto il rettore al ministro – è che oltre ai costi standard per studente si apra una riflessione sulle “dimensioni ottime” di un ateneo, che secondo alcuni studi è di circa 20mila studenti”. Circa le sedi decentrate dell’ateneo friulano, De Toni ha ricordato che “la loro esistenza è condizionata da un lato dal rispetto dei requisiti minimi imposti dal Miur e dall’altro dal sostegno finanziario da parte del territorio”. Sul tavolo, un’azione per rilanciare della sede di Pordenone con “un progetto congiunto il Consorzio di Pordenone come attore promotore, il nostro Ateneo e la Regione con quote di cofinanziamento su base annua rispettivamente del 14%, 56% e 30%. Dichiariamo la nostra disponibilità – ha concluso il rettore – a collaborare anche in questo progetto con l’Ateneo di Trieste nella medesima logica di cofinanziamento”.
Il centro culturale dell’identità friulana. Il rilancio dell’ateneo passa dalla ricerca e dall’internazionalizzazione, temi cardine, di cui il rettore ha ricordato i numerosi risultati raggiunti e i progetti futuri. “Ma la strategia dell’internazionalizzazione del nostro Ateneo potrebbe incrociarsi con la strada dell’emigrazione percorsa da molti friulani vari decenni fa – ha proposto De Toni -. Immagino qui nel centro storico di Udine una nuova grande biblioteca universitaria che sia anche un centro culturale di identità friulana e dove si ospitano anche eventi artistici. Un edificio di architettura moderna che dia il segno concreto della novità che l’Università ha rappresentato per il Friuli. Immagino molti dei nostri studenti impegnati all’estero per fare stage, tirocini, tesi ed esperienze lavorative presso università, enti, associazioni professionali e imprese in cui i nostri corregionali operano – ha continuato il rettore. Un snodo di una rete di relazioni sparse nel mondo. Un polo attrattore che leghi tradizione e innovazione, vecchi e giovani, identità e diversità, friulani all’estero e friulani in patria, cultura ed economia, arte e tecnologia, imprese locali e opportunità commerciali internazionali. Un luogo che possa diventare il punto di incontro, fisico e simbolico, tra il Friuli del passato, del presente e del futuro”.
Università come modello di buone pratiche. Infine, ricordando i risultati già raggiunti nel settore del risparmio energetico (primo utente della rete di teleriscaldamento della città), della sicurezza (primi in Italia ad avere un centro intersettoriale di studi e di ricerche in materia di sicurezza), del bilancio (primi in Italia ad aver certificato il bilancio nello stesso anno in cui si è passati alla contabilità economico-patrimoniale), De Toni ha delineato un’università del futuro che sia sempre di più un luogo per sviluppare e diffondere buone pratiche. “Il nostro desiderio – ha detto – è di rendere il nostro Ateneo non solo il luogo dove si svolge la ricerca e lo sviluppo, ma anche il luogo elettivo di pratica dei migliori risultati della ricerca, in tutti gli ambiti: dalle energie rinnovabili alla digitalizzazione degli archivi cartacei, dal marketing alla comunicazione. Un luogo dove le innovazioni tecnologiche, organizzative, manageriali, normative non siano messe a punto solo sul piano teorico, ma anche su quello applicativo. Un luogo di riferimento esemplare per studenti, imprese, enti, pubblica amministrazione. Una università dove si possa dire: vieni a vedere dove il nasce il futuro. O, come direbbero i latini, hic sunt futura”.
I temi del merito, della precarietà, del diritto allo studio, del sottofinanziamento cronico delle università pubbliche, con un particolare riferimento alla situazione dei laureati dell’area sanitaria e ai futuri insegnanti alle prese con il Tirocinio formativo attivo (Tfa) e con i Percorsi abilitanti speciali (Pas), sono stati al centro dell’intervento della presidente del Consiglio degli studenti, Alice Buosi. “Siamo una generazione esclusa dalla possibilità di contribuire al progresso del proprio Paese – ha detto – il perpetuarsi di politiche di governo poco lungimiranti non potrà che portare all’allontanamento dei giovani, alla perdita di fiducia della popolazione nei confronti del sistema universitario nazionale e a un calo di credibilità dell’istruzione pubblica e istituzionale nel nostro Paese”. Dopo aver apprezzato l’impegno del rettore a non aumentare le tasse per il secondo anno di fila, Buosi ha sottolineato come dovrebbe essere lo Stato a non “porre le università nella condizione di non supplire la taglio ministeriale con la tassazione studentesca”. In caso contrario, si diffonderebbe “l’idea che la cultura non sia più un bene e una fonte di progresso per l’intera società, bensì appannaggio di quei pochi che se lo possono permettere”. In questo senso la presidente ha messo in discussione anche il sistema del merito: “non significa negare il giusto riconoscimento e supporto alle eccellenze, tuttavia, solo laddove a tutti sia concesso di potersi formare, di poter competere e, infine, di eccellere, allora sì, sarà inequivocabilmente merito e non privilegio sociale”.
Le criticità del personale tecnico e amministrativo sono state elencate dalla rappresentante Carla Rigonche ha sottolineato innanzitutto quanto sia pesato il problema del precariato nell’ateneo negli ultimi anni: nonostante dal 2008 più di 50 precari siano stati stabilizzati, “circa 60 persone che lavoravano a tempo determinato, alcune anche da molti anni, sono state escluse dal sistema. Ci auguriamo – ha detto la rappresentante – che questa emorragia si fermi e che a breve si possa riprendere nuovamente a reclutare personale a tempo indeterminato”, mentre “per i colleghi che prestano da vari anni servizio all’università auspichiamo che si possa percorrere un iter di proroga ulteriore e di stabilizzazione”. Rigon ha evidenziato al ministro quanto il personale lavori in un contesto penalizzante per vari motivi, tra taglio delle risorse ministeriali, difficoltà nella contrattazione integrativa, blocco totale delle progressioni di carriera, impossibilità ad aumentare il fondo accessorio di ateneo che potrebbe almeno ovviare in parte al fatto che le retribuzioni sono ferme al 2008 e sono tra le più basse del pubblico impiego. Senza contare lo stallo del turn over e l’allungamento della vita lavorativa che non favoriscono i ricambi generazionali, oltre all’eccesso di burocrazia. Al rettore invece il personale ha chiesto di essere presente anche nel Cda e di ampliare il valore del voto per l’elezione del rettore, oltre che di partecipare in maniera più attiva alle decisioni della riorganizzazione dell’ateneo.
Chiaro anche l’appello lanciato ai governi da parte di Stefano Paleari. “Mi farebbe piacere che si candida alla guida del nostro Paese o delle nostre Regioni chiarisse quale posto occupa l’università nel suo programma di governo” ha
etto il presidente della Crui, sottolineando quanto le scelte politiche degli ultimi anni abbiano inciso sulle università italiane: “il combinato disposto di minori risorse e minore autonomia ha portato non solo al ridimensionamento del sistema ma lo ha anche privato della sua capacità progettuale, trasformandolo in un comparto puramente esecutivo della pubblica amministrazione”. Un ridimensionamento evidente dai numeri: “diritto allo studio largamente insufficiente, riduzione del personale di ruolo di oltre il 15% con la perdita di 10mila ricercatori costretti a bussare alle porte delle università straniere dopo essersi formati nel nostro Paese, risorse pari a un terzo di quelle di Francia e Germania a parità di abitanti, una stratificazione legislativa e normativa che nemmeno gli esperti di diritto riescono più a ricomporre”.
Molto apprezzata, infine, la prolusione di Angelo Vianello, prorettore vicario e professore ordinario di Biochimica vegetale, intitolata ‘L’evoluzione della vita sulla terra: una storia di competizione e cooperazione’ ha spiegato non soltanto come la competizione, uno dei motori della storia della vita, sia stata fatta degenerare dall’uomo, trasformandola in uno strumento per la conquista di un potere spesso fine a se stesso, con il rischio di un suicidio collettivo, ma ha anche illustrato il modo in cui l’uomo possa ritrovare il senso profondo della cooperazione.