Archeologi friulani scoprono i più antichi crimini di guerra

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redazione

21 Ottobre 2014
Reading Time: 6 minutes

Scavi nel Kurdistan iracheno

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Quasi 500 siti archeologici individuati, grazie ai quali sarà possibile ricostruire più di diecimila anni di storia – dall’8000 a.C. ai giorni nostri – della Mesopotamia antica, nel Kurdistan iracheno, una delle culle della civiltà. Una serie di necropoli portate alla luce e risalenti a periodi dal 2.700 al 600 a.C. con le possibili prime evidenze dell’insediamento nelle campagne di Ninive, l’odierna Mosul, di migliaia di prigionieri di guerra dei sovrani assiri che, nel I millennio a.C., deportarono oltre un milione trecentomila persone compiendo così uno dei primi crimini di guerra della storia.

Sono i principali risultati della terza campagna di ricerche condotte dalla missione archeologica dell’Università di Udine nell’Iraq settentrionale, nella provincia di Dohuk, diretta da Daniele Morandi Bonacossi. È inoltre partito un piano di documentazione, conservazione, valorizzazione e gestione dei principali siti monumentali neo-assiri (VIII-VII secolo a.C.) connessi all’imponente sistema irriguo lungo 240 chilometri costruito dal re assiro Sennacherib a cavallo fra VIII e VII secolo a.C. I risultati delle ricerche, obiettivi e sviluppi della missione sono stati presentati oggi all’Università di Udine. 

I siti scoperti. I quasi 500 siti archeologici, di cui circa 200 di epoca neo assira, scoperti dopo tre campagne di ricerche, sono costituiti da antiche città e villaggi rurali, grotte e ripari, cimiteri, mulini, pozzi, cave, fornaci, recinti per animali, canali e antichi percorsi stradali. Questi siti consentiranno agli studiosi di ricostruire storia, demografia ed economia di questa importante e poco conosciuta regione del Kurdistan iracheno settentrionale dall’VIII millennio a.C. all’epoca ottomana. «Prima dell’inizio delle ricerche del progetto dell’Università di Udine – sottolinea Morandi Bonacossi, professore di Archeologia del Vicino Oriente antico – erano stati in qualche misura indagati solo una dozzina di siti archeologici».

Le necropoli. Una serie di necropoli datate al 2700-2600 a.C., 1800-1600 a.C. e dell’epoca neo-assira, sono state portate in luce dagli scavi nel sito di Tell Gomel-Gaugamela, centro urbano occupato dal V millennio a.C. fino ad oggi. In particolare, nell’area sepolcrale più recente sono state ritrovate una serie di tombe a cremazione, un rituale funerario sconosciuto in Assiria, ma praticato in Anatolia orientale e Siria settentrionale. «Una scoperta di straordinaria importanza – rileva Morandi Bonacossi – che apre la strada all’ipotesi che i resti dei defunti appartengano ai deportati delle campagne militari dei sovrani Sargon e Sennacherib in quelle regioni».

I prigionieri di guerra. E proprio questi resti umani potrebbero rivelarsi le prime tracce della presenza di prigionieri di guerra nella campagna di Ninive. Centinaia di migliaia di deportati utilizzati dai sovrani assiri come manodopera per la costruzione di opere pubbliche, come i canali di irrigazione, e per popolare e coltivare campagne prima non insediate o sottoutilizzate nell’hinterland di Ninive. «Analisi di laboratorio dei denti dei defunti – spiega il professor Morandi Bonacossi– potranno rivelare se ci troviamo di fronte a individui nati e cresciuti a Tell Gomel o provenienti da regioni più lontane, consentendo forse di acquisire le prove di uno dei più antichi crimini di guerra della storia». Le fonti assire, infatti, registrano la deportazione di oltre un milione trecentomila prigionieri di guerra, costretti ad abbandonare le loro case e trasferiti dagli eserciti assiri in diverse regioni dell’impero.

Tutela e valorizzazione con l’Unesco.  Il vasto complesso di canali d’irrigazione lungo circa 240 chilometri con i suoi monumentali rilievi rupestri, canali e i primi acquedotti in pietra della storia è stato documentato in maniera digitale e tridimensionale ed è in corso di valorizzazione. Con la Direzione delle Antichità di Dohuk sarà progettato l’inserimento del vasto complesso archeologico nella “World Heritage Tentative List” dell’Unesco, l’organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura. Il tutto attraverso la stretta cooperazione con le autorità locali, fra le quali la Direzione generale delle antichità del Kurdistan e il Governatorato di Dohuk, la Task force Iraq del Ministero degli Affari Esteri, il World Monuments Fund di New York «per contribuire – evidenzia Morandi Bonacossi – alla tutela e promozione dello straordinario patrimonio culturale della regione».

Il progetto Parten. Le ricerche nell’Iraq settentrionale rientrano nel “Progetto archeologico regionale Terra di Ninive” (Parten) condotto dal 2012 dalla Missione archeologica italiana in Assiria (Maia) del Dipartimento di storia e tutela dei beni culturali dell’Ateneo friulano. La regione – che corrisponde all’entroterra di Ninive, ultima capitale dell’impero assiro –, nel suo complesso non è mai stata oggetto di studi moderni e sistematici. In questo territorio l’Università di Udine ha ricevuto, dalle autorità regionali del Kurdistan e da quelle centrali di Baghdad, una concessione di ricerca archeologica per un territorio di tremila chilometri quadrati di superficie, la più ampia licenza mai rilasciata a una missione straniera in Iraq. Il progetto è condotto in collaborazione con la Direzione generale delle Antichità del Kurdistan iracheno e la Direzione delle Antichità di Dohuk.

Gli obiettivi delle ricerche. La missione dell’Università di Udine nel Kurdistan iracheno persegue quattro obiettivi principali. Innanzitutto lo svolgimento di una ricognizione archeologica di superficie regionale che consenta di ricostruire la storia dell’insediamento e dell’uso delle risorse naturali nelle pianure a est del corso del fiume Tigri fra la preistoria più antica e l’età contemporanea.

Secondo obiettivo è lo scavo archeologico del sito di Tell Gomel-Gaugamela. Nella pianura circostante, nel 331 a.C., Alessandro Magno affrontò in battaglia e sconfisse il re persiano Dario III, aprendosi così la strada per la conquista di Babilonia e Persepoli, Susa ed Ecbatana, capitali dell’impero della dinastia achemenide.

Centrali per il progetto sono poi le ricerche sul periodo neo-assiro e, in particolare, il regno di Sennacherib (704-681 a.C.), il re che spostò il centro dell’impero nella città di Ninive, trasformandola in una capitale di dimensioni (750 ettari rispetto ai 200 precedenti) e splendori mai visti prima di allora. Il re assiro costruì, inoltre, l’imponente rete di canali d’irrigazione a nord di Ninive. «Sistemi d’irrigazione, ma anche ostentazioni di lusso e potenza – spiega Morandi Bonacossi –, pervasi di forti implicazioni simboliche e ideologiche, che includevano anche la realizzazione, sulle pareti rocciose delle montagne che dominavano i canali, di monumentali rilievi raffiguranti il sovrano assiro al cospetto degli dei e la creazione di elaborati parchi e giardini sia al di fuori di Ninive, sia sull’acropoli della città o nelle immediate vicinanze». Per ricostruire questo sistema idraulico e l’ambiente antico della regione e la sua evoluzione, come conseguenza dei cambiamenti climatici e dell’impatto delle attività produttive condotte dall’uomo, partirà inoltre un progetto multidisciplinare di ricerca archeologica, paleoambientale e paleoclimatica.

Infine, il “Progetto archeologico regionale Terra di Ninive” e l’Istituto per le tecnologie applicate ai Beni culturali del Consiglio nazionale delle ricerche, in collaborazione con la Cooperazione italiana allo sviluppo del Ministero degli Affari Esteri, hanno iniziato un vasto progetto di documentazione, conservazione, valorizzazione e gestione dei principali siti monumentali neo-assiriconnessi al sistema idraulico costruito dal sovrano assiro Sennacherib. «L’obiettivo – sottolinea il professor Morandi Bonacossi – è quello di documentare e valorizzare gli straordinari rilievi rupestri di Khinis, Shiru Maliktha, Faideh, e Maltai e dell’acquedotto di Jerwan, primo acquedotto in pietra della storia, con il loro inserimento nella lista del patrimonio dell’umanità dell’Unesco e la progettazione di un parco archeologico-ambientale del sistema di canali assiri che consenta di valorizzare questo eccezionale complesso monumentale a scopo turistico». Il sito di Khinis è infatti nella “Watch List” del patrimonio culturale minacciato del World Monuments Fund nel 2014.

I partner. Il “Progetto archeologico regionale Terra di Ninive”, condotto attraverso campagne di scavo annuali della durata di più di due mesi, è finanziato dalla Cooperazione italiana allo sviluppo (Task force Iraq), dalla Direzione generale per la Promozione del sistema Paese del Ministero degli Affari Esteri, dalla Regione Friuli Venezia Giulia – Informest, dalla Provincia di Udine, dalla Fondazione Crup e dallo Studio Giorgiutti e Associati. Il progetto è sostenuto dalla Direzione delle Antichità del Kurdistan iracheno e dall’Ambasciata italiana a Baghdad e dal Consolato italiano ad Erbil.

I risultati delle ricerche, obiettivi e sviluppi della missione sono stati presentati oggi all’Università di Udine. Erano presenti, fra gli altri, Alberto Felice De Toni, rettore dell’Ateneo friulano; Gianni Torrenti, assessore regionale ai beni culturali del Friuli Venezia Giulia; Pietro Fontanini e Furio Honsell, presidente della Provincia e sindaco di Udine; Rezan Kader, alto rappresentante in Italia del governo regionale del Kurdinstan in Iraq; Farhad Atrushi, governatore di Dohuk; Nino Merola, della Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo del Ministero degli affari esteri; Hassan Ahmed Qasim, direttore delle antichità di Dohuk; Paolo Mauriello, direttore dell’Istituto per le tecnologie applicate ai beni culturali del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr); Lionello D’Agostini, presidente della Fondazione Crup; Alberto Giorgiutti, dello Studio Giorgiutti e Associati; Neil Harris, direttore del Dipartimento di Storia e tutela dei beni culturali dell’ateneo udinese.

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