Il tesoro della semplicità

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Claudio Pizzin

28 Maggio 2019
Reading Time: 7 minutes

Uruguay

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Di du là seso?”. All’interno dell’aeroporto di Madrid, questa domanda in friulano mi riporta indietro di cinque anni. Ancor prima di girarmi ho già riconosciuto la voce. Mi volto e davanti a me trovo Luigi Guerra proveniente da Montina di Torreano. L’ultima e unica volta che lo avevo incontrato era stato in Cile, a San Pedro, nel deserto di Atacama. Anche allora pose a me e Lucia lo stesso interrogativo. Scambiamo alcune battute, raccontandoci le avventure vissute negli ultimi anni. Una coincidenza incredibile. Non sarà l’unica in questo viaggio destinato – più di ogni altro – a restare un’esperienza indelebile.

Dopo un volo tranquillo sbarchiamo a Buenos Aires in perfetto orario. Sistemati i bagagli in albergo facciamo un rapido giro in Plaza de Mayo: è l’8 marzo e, come tradizione, è in programma una grande manifestazione. Il centro è bloccato, mentre i rivenditori ambulanti di alimenti prendono posizione ai bordi della piazza. Noi siamo molto stanchi e al calar della sera andiamo a riposare. La capitale argentina è solo il punto di partenza di un tour che si preannuncia molto impegnativo…

L’indomani ci imbarchiamo sul traghetto. Dopo un’ora di navigazione, sbarchiamo a Colonia del Sacramento, in Uruguay. La città sembra un luogo fantasma. Per strada non c’è nessuno a cui poter chiedere informazioni: sarà cosi per tutto il tempo e a tutte le ore del giorno. Vicino alla città vecchia troviamo una buona sistemazione. Oltre a essere una città tranquilla, Colonia offre anche luoghi di interesse: dall’acciottolata Calle de los Suspiros risalente al XVIII secolo all’ottocentesco faro: da qui la vista sulla città vecchia è davvero affascinante.

Nei pressi scorgiamo le rovine del Convento di San Francisco, risalente al XVII secolo. A due passi visitiamo la Basilica del Sanctissimo Sacramento, costruita dai portoghesi nel 1808. La domenica mattina è allestito un mercatino dei prodotti tipici locali: la grande confusione stride con il silenzio della città vecchia.

Decidiamo di andare a visitare il Real de San Carlos, un immenso complesso turistico degli inizi del XX secolo. Fatto costruire da un danaroso imprenditore argentino, comprendeva un’arena da 10.000 posti (l’intera area oggi è recintata perché pericolante), uno sferisterio da 3.000 posti, un hotel e un casinò. Solo l’ippodromo resta in funzione.

È tempo di ripartire, destinazione Montevideo che raggiungiamo dopo tre ore di autobus. Nella capitale lo scenario è completamente diverso: moltissimo traffico e, al contrario di Colonia, un grande trambusto. Raggiungiamo un ufficio turistico per ritirare l’indispensabile mappa della città e per ricevere alcune dritte sui luoghi da visitare. La prima tappa è Plaza Independencia, dove campeggia una statua di 17 metri che ricorda l’eroe nazionale Josè Artigas. Nello stesso luogo sorge il Mausoleo de Artigas, una struttura sotterranea dove riposano le sue spoglie, vigilate da un picchetto d’onore.

Nella stessa piazza si trova anche la Puerta de la Ciudadela, porta in pietra e unico resto della città coloniale demolita nel 1883. Ci rechiamo al Mercado del Puerto, un’imponente struttura in ferro al cui interno si trovano moltissime Parrillas, ristoranti che propongono abbondanti grigliate sprigionando nell’ambiente un profumo invitante. Da qui raggiungiamo Plaza Matriz, dove incontriamo uno tra i monumenti imperdibili di Montevideo, la meravigliosa Cattedrale Metropolitana detta anche Iglesia Matriz: uno degli edifici sacri più belli e importanti di tutto il Sudamerica, iniziata a costruire nel 1784 e terminata 15 anni più tardi. Per gli appassionati di calcio non può mancare una visita all’Estadio Centenario, lo stadio più grande di tutto il Paese e uno dei più famosi al mondo grazie alla sua storia, tanto da essere considerato uno dei pochi Monumenti Storici del Calcio Mondiale.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

È stato sede del primo vero Mondiale, nel 1930, vinto proprio dall’Uruguay, e di altre competizioni internazionali fino alla Coppa America del 1995, anch’essa vinta dall’Uruguay. Nonostante lo stato delle tribune ne evidenzi la vetustà, la Celeste – la Nazionale uruguaiana – disputa qui tutte le sue partite casalinghe. All’interno dello stadio visitiamo il Museo del Futbol, interamente dedicato alla storia del calcio e della Celeste, dove sono custoditi numerosi cimeli, tra cui le coppe del mondo vinte dalla nazionale uruguaiana nel 1930 e 1950.

L’indomani, di buon mattino, acquistiamo i biglietti per Tacuarembò; a mezzogiorno partiamo: “La Patria Gaucha” ci aspetta. Nel lungo tragitto osserviamo solo mucche, pecore e cavalli liberi nell’immensità della prateria, dove lo sguardo si perde. Ogni tanto qualche albero e rari paesi. Solo prima di giungere a destinazione scorgiamo qualche bosco di eucalipti. Arriviamo proprio nel giorno in cui iniziano i festeggiamenti cittadini, con musica tutta la notte fino alle prime luci dell’alba: verrebbe da dire “è qui la fiesta”. Di primo mattino la gente già freme per l’evento più atteso: la grande sfilata di cavalli e cavalieri provenienti da tutto l’Uruguay. Per quasi tre ore in città si assiste a uno spettacolo unico, con l’invasione di 4.500 cavalli.

È domenica, il giorno della Missa Criolla. Il luogo  dove è prevista la celebrazione dista circa 3,5 chilometri dal centro. Nel frattempo inizia a piovere. Appena giunti sul posto chiediamo informazioni, ma scopriamo che la Messa è stata spostata nella  cattedrale. Per cancellare la delusione decidiamo allora di assistere a qualche evoluzione sui cavalli nel grande campo di gara. Continua a piovere e diverse competizioni vengono sospese per il terreno troppo scivoloso. Decidiamo di rientrare, così assistiamo alla parte finale della messa. All’uscita incontro il Vescovo che l’ha celebrata. Parla molto bene l’italiano, svelando le proprie origini: suo nonno era partito da Trento agli inizi del 1900…

Ma le sorprese non sono finite. A pranzo, in un locale del centro, incontriamo Daniel Lòpez Moroy, famoso giornalista e radiocronista di Radio Tacuarembò, inviato al seguito della Celeste ai Mondiali di calcio. La seguì anche durante Italia ’90, torneo in cui l’Uruguay disputò le proprie partite a Udine. Quando scopre da dove proveniamo, non solo ci racconta della sua esperienza in quei giorni, ma anche della sua amicizia con un uruguaiano che vive a Cividale.

La tappa successiva del nostro tour è Artigas, famosa per l’ametista. Alla reception dell’hotel incontriamo un giovane che per molti anni è vissuto in Italia. Ci indirizza a un’attività artigianale dove possiamo acquistare qualche regalo per parenti e amici, e dove incontriamo due persone che si rendono disponibili a farci visitare una Cantera, miniera da cui si estrae proprio l’ametista. Un giro che dura circa 3 ore, ricco di emozioni. Visitiamo anche uno dei grandi laboratori artigianali del paese, dove ammiriamo la lavorazione delle ametiste giganti.

Lasciamo Artigas per raggiungere Salto, la seconda città dell’Uruguay, sorta vicino alle cascate dove il Rio Uruguay compie il Salto Grande. Famosa per le sorgenti termali, qui troviamo alloggio in un hotel del grande complesso termale del Daymàn, a circa 8 chilometri dal centro cittadino, privo di particolari attrattive. A Salto ci concediamo alcuni giorni di completo relax, crogiolandoci al sole in compagnia di ospiti argentini e uruguaiani. Effettuiamo anche un’escursione in bicicletta per visitare la Grotta di Padre Pio, situata a qualche chilometro dalle terme e costruita dalla proprietaria del campo in riconoscimento di una grazia ricevuta.

Il tempo scorre veloce: è ora di rimettersi in marcia. Dopo diverse ore in autobus raggiungiamo Punta del Este, nota località balneare con bellissime spiagge ed eleganti palazzi costruiti fronte mare. Il tempo non è buono e il clima è particolarmente fresco, costringendoci a tenere un abbigliamento autunnale. Come tutti i turisti non ci sottraiamo al rito della foto alla Mano en la Arena, per poi passeggiare nella parte sud della cittadina, raggiungendo prima la Chiesa della Candelaria, quindi il faro.

È ora di pranzo. Ci fermiamo in un locale tipico e ordiniamo una pasta ai frutti di mare rigorosamente al dente. Il titolare ci chiede se veniamo dall’Italia, spiegandoci che solo gli italiani vogliono la pasta al dente, mentre i locali non la apprezzano.

Ricomincia a piovere. Terminato il pasto ci avviamo verso il campo base, soffermandoci nella zona del porto dove alcuni leoni marini se ne stanno comodamente sdraiati per la gioia di grandi e piccini. Ci imbattiamo anche in un curioso mercatino artigianale. Si fa sera e la temperatura si abbassa ulteriormente, mentre ad alzarsi è un vento fastidioso.

È già ora di ripartire per Colonia del Sacramento, dove ci attende l’imbarco per l’Argentina. Una volta arrivati a Buenos Aires ci dirigiamo verso l’hotel per un meritato riposo. Al mattino presto ci rechiamo alla Recoleta, il quartiere signorile della capitale, uno dei più “europei” della città, con i suoi eleganti parchi e palazzi. Visitiamo uno dei cimiteri più belli e popolari del mondo, situato accanto alla chiesta di Nostra Signora di Pilar, soffermandoci sulla tomba di Maria Eva Duarte de Perón. Si dice che il corpo di Evita fu trasportato in Europa e seppellito per qualche tempo a Milano, registrato sotto il falso nome di Maria Maggi de Magistris, per essere poi collocata definitivamente nel Cimitero de la Recoleta solo nel 1976. Nell’ufficio all’ingresso del cimitero chiediamo se qui è sepolto Guy Williams, pseudonimo di Armando Joseph Catalano, attore e modello statunitense conosciuto per aver interpretato il ruolo di Zorro nel telefilm americano della Disney negli anni cinquanta, morto proprio nel quartiere della Recoleta. Purtroppo la risposta è negativa…

La giornata è ancora molto lunga. Prendiamo un autobus e ci dirigiamo verso il quartiere della Boca, l’originale strada di Caminito, una bellissima via dove, tra edifici colorati, si susseguono ristoranti, bar e postazioni di pittori. Ballerini di tango, invece, affascinano i visitatori con la magia dei loro passi. Anche qui uno stadio cattura i nostri sguardi: la casa del Boca Juniors, “La Bombonera”, inaugurato nel 1940.

Il tempo scorre veloce e dobbiamo prepararci a rientrare. Abbiamo vissuto esperienze uniche ma, soprattutto, abbiamo incontrato persone speciali che ci hanno fatto sentire a casa.

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