Il mondo dello spettacolo non è sempre scintillante: a fronte della crisi anche gli artisti devono aguzzare l’ingegno. Ecco allora che Viktoria, talentuosa cantante disoccupata, si finge Viktor e conquista le platee. Ma il suo fascino androgino scatenerà presto curiosità e sospetti. La Berlino degli Anni Trenta fa da sfondo a una vicenda che, con leggerezza, arriva in profondità: tra battute di spirito e divertenti equivoci si legge la critica a una società bigotta e superficiale, sempre pronta a giudicare dalle apparenze. È Veronica Pivetti a cimentarsi nell’insolito doppio ruolo di Viktor/Viktoria, nato sul grande schermo e per la prima volta sulle scene italiane nella sua versione originale.
In una Berlino stordita prima dai fasti e poi dalla miseria della repubblica di Weimar un’attrice di provincia, Susanne Weber approda in città spinta dalla fame e in cerca di scrittura. Il freddo e la miseria le hanno congelato le membra, e anche il cuore non è rimasto illeso. L’incontro con un collega attore, Vito Esposito (interpretato da Yari Gugliucci) immigrato italiano, sembra cambiarle la vita. E mentre la città subisce gli umori delle nascenti forze nazionalsocialiste di Hitler in lotta con gli spartachisti dell’estrema sinistra, Susanne e Vito s’immergono negli eccessi della vita notturna weimeriana. La coppia condivide fame, scene e battute e, alla fine, anche sesso e identità. Ed è per proprio per l’affamata ditta che Susanne si sacrifica e diventa un acclamato e affascinante en travesti, anche grazie all’aggiunta di un colorato, buffo e stravagante fallo di cotone che diventa l’emblema del loro piccolo grande segreto. Viktor und Viktoria è acclamato in tutti i palcoscenici d’Europa, finché, tornati a casa per l’ultima recita, un incontro fatale con il fascinoso conte Frederich Von Stein (Giorgio Lupano) sfiorerà il cuore gelato di Susanne. Purtroppo, anche il conte ha un segreto e la liaison si complica, e mentre a Berlino la situazione politica degenera precipitosamente, la nostra protagonista sarà costretta a fare le sue scelte sentimentali e di vita.
«Questo spettacolo non si rifà al film del 1982 diretto da Blake Edwards e interpretato dalla mitica Julie Andrews, bensì alla precedente vecchia pellicola del 1934. Siamo in una Berlino ricca di creatività, estremamente libera e disinvolta, una città di grande apertura mentale, sociale e culturale. Dopo i fasti della Repubblica di Weimar e la crisi del 1929, ci troviamo in un’epoca contraddittoria su cui incombe l’ombra del nazismo, che tuttavia non viene ancora considerato una minaccia, anzi Hitler a quel tempo viene preso in giro, è considerato una macchietta, sottovalutato. Non si immagina nemmeno lontanamente cosa accadrà in seguito», racconta Veronica Pivetti. E aggiunge: «È una commedia che parla di diritti e del riconoscimento dei diritti, un argomento molto attuale, ci sono molti punti di contatto con i nostri tempi. È uno spettacolo che portiamo in scena perché ci è sembrato il momento giusto per farlo per il momento storico in cui viviamo. Si parla di immigrazione, allora come oggi un problema sentito. Ma è soprattutto un inno contro i pregiudizi. Ed è l’amore che muove tutto, generando la crisi».