È stato attivato in questi giorni un corso di formazione per gli allievi del Liceo Classico e del Liceo Scientifico annessi al Convitto Nazionale ‘Paolo Diacono’ di Cividale, finalizzato a trasmettere loro le conoscenze storiche e artistiche utili per vestire i panni di Ciceroni e condurre delle visite guidate durante le giornate del FAI di primavera 2015.
Uno dei siti che il Gruppo FAI di Cividale ha selezionato e che sarà quindi oggetto di visita sabato 21 e domenica 22 marzo è proprio l’edificio storico che ospita il Convitto, eretto verso il 1200 dalle suore di Aquileia ma risalente, nel suo aspetto attuale, al 1600-1700, quando era un monastero che ospitava le suore dell'ordine delle Clarisse. Già nel 1876 aveva ospitato una nuova istituzione scolastica maschile, con collegio annesso. Ma fu solo dopo la seconda guerra mondiale che il complesso riacquisì la sua funzione educativa, funzione che è andata crescendo via via fino ai giorni nostri.
La seconda struttura di notevole pregio architettonico che sarà aperta alle visite in occasione delle giornate del FAI è la Villa di Lenardo, una delle più rinomate residenze del Friuli orientale, inserita in un palazzo storico dell’Ottocento, con torre e parco nel cuore della città longobarda.
Villa “Di Lenardo” - scheda storica
Nel 1780 Antonio Zuzzi e Maria Di Lenardo, entrambi di Oseacco di Resia, dopo il matrimonio scesero in pianura e scelsero la loro residenza a Cividale. Non si è in possesso di documenti ufficiali, ma si ritiene che la Villa sia stata costruita intorno al 1850 proprio dalla Famiglia Zuzzi-Di Lenardo.
Narrano le cronache che, nel 1915 e nel 1916, la Villa ospitò in varie occasioni il Generale Luigi Capello, Comandante della II Armata che aveva la responsabilità del Fronte dell’Alto Isonzo, dal Monte Rombon (Gruppo del Canin) a Gorizia. .
A seguito della disfatta di Caporetto, un’ampia zona intorno alla Villa fino alla riva destra del Natisone fu adibita dagli Austro-Tedeschi a primo campo di concentramento dei soldati italiani catturati (circa 50.000) e la Villa stessa fu requisita per ospitare un comando dell’Esercito imperiale.
Successivamente, a fine novembre 1917, dell’immenso campo di concentramento iniziale ne rimase uno più piccolo tra la ferrovia, la strada statale e la strada tra Casali Gallo e Rubignacco.
Narra Mons. Valentino Liva nel suo libretto “Anno di prigionia – La vita di un popolo” che i prigionieri erano inizialmente ammassati sulla nuda terra e “….. trascorrevano i giorni interi in un digiuno assoluto, che li struggeva. Poi coloro che potevano essere visitati dai parenti campavano con gli alimenti che ricevevano da questi. Gli altri pativano di una fame mortale. Quando noi percorrevamo quelle strade, i prigionieri vedendoci si gettavano a frotte verso di noi, stendendo le mani attraverso i fili metallici spinati che cingevano il campo. Davamo ciò che avevamo e tornavamo a casa col cuore straziato. Fu allora che il nostro don Antonio Sequalini cominciò a raccogliere il pane che trovava alla Casa di ricovero. Raccoltolo, scendeva per le vie del campo e lo distribuiva ai più fortunati. Quando invece le guardie lo impedivano, egli gettava dentro il campo i pani che venivano presi d’assalto ….”. “….. Il patimento dei prigionieri era tale che di solito se ne commovevano anche i soldati di guardia, i quali, verso sera, se inosservati dai loro superiori, ne lasciavano uscire parecchi da un pertugio a procacciarsi qualche cibo…..”.
Attualmente la Villa è di proprietà di Giuseppe Barbiani.
Nel 2012 la Villa è stata scelta come “location” del film di Marco Bellocchio “Bella addormentata” ispirato alla vicenda di Eluana Englaro.
Convitto Nazionale “Paolo Diacono” - Scheda storica
La presenza di una comunità religiosa maschile nel luogo ove sorgerà il monastero di Santa Chiara risale al 1244, un quarantennio dopo vi sarà il suo spostamento all’interno della città e le monache si insediarono nel cenobio lasciato libero, abbracciando la regola di S. Chiara. Nel 1429 con bolla di papa Martino V il monastero fu soppresso ed unito a quello benedettino di S. Maria d’Aquileia, le cui monache da allora vi soggiornarono per metà anno, in corrispondenza della stagione calda, quando l’agro aquileiese era inabitabile a causa della malaria.
Il monastero, ubicato poco lungi dalle mura cittadine e vicino alla sponda del fiume Natisone, essendo di clausura, era circondato da un’alta muraglia e, nel corso delle ricorrenti visite dei delegati apostolici successive al Concilio di Trento, via via si fecero murare tutte le aperture che permettevano un facile contatto con il mondo esterno.
Il complesso fu oggetto di consistenti interventi strutturali nel 1671 e venne radicalmente ricostruito nel 1751, spostando leggermente la sua posizione originaria, fino ad inglobare un’attigua abitazione colonica, anch’essa di proprietà monasteriale. Assunse imponenti dimensionie nel chiostro centrale venne scavato un pozzo per l’autonomo approvvigionamento di acqua potabile. La nuova chiesa, a pianta ottagonale, era posta centralmente nella facciata, da cui si sviluppava l’ampio quadrilatero per uso abitativo. L’edificio sacro era dotato di tele e opere d’arte commissionate ai maggiori artisti del tempo, come Giambattista Tiepolo che nel 1759 dipinse la tela “Visione di Sant’Anna” nella quale, come un quadro nel quadro, raffigurò con maestria anche il nuovo complesso monasteriale delle committenti.
Quando l’imperatore d’Austria Giuseppe II nel 1782 soppresse il convento di S. Maria ad Aquileia, il Senato veneto permise a quelle monache di trasferirsi a Cividale, ma il rinnovato assetto ebbe breve durata, in quanto con un decreto di Napoleone fu estinto anche il monastero cividalese.
Il vastissimo fabbricato, sorto per rispondere alle esigenze dell’antica comunità monastica femminile, in breve trovò uso per fini militari. Le due torri campanarie svettanti ai lati dell’edificio sacro vennero abbassate e dotate di merlatura.
Nel periodo napoleonico si utilizzò come caserma e deposito militare; analoga destinazione gli fu conferita dall’Armata imperiale austriaca. La sua importanza crebbe con l’attivazione, nel 1837, di un istituto di educazione militare per i cadetti dell’Austria. In seguito qui venne attivato un Istituto per Invalidi, sempre di natura militare, filiale di quello di Vienna, in funzione fino al 1866.
Il Comune di Cividale acquistò dal Governo il fabbricato nel 1873, con l’intenzione di fondarvi un’istituzione scolastica maschile, con annesso collegio ove ospitare giovani di varia provenienza. Prese così corpo un Istituto Tecnico e Ginnasiale, avviato con l’anno scolastico 1876-1877. Nel 1890 il Collegio Municipale ottenne la conversione in Nazionale, assumendo l’intitolazione allo storico longobardo “Paolo Diacono”, tuttora mantenuta.
Per la sua strutturazione ed ubicazione, nei frangenti di guerra l’edificio si prestava egregiamente ad essere convertito in ospedale militare, uso che infatti ebbe in entrambi i conflitti mondiali, così come per l’alloggio delle truppe di occupazione. Tali impieghi comportarono ripetuti e consistenti danni alle strutture.
Al termine delle guerre mondiali, dopo il risanamento e la completa ristrutturazione dell’antico fabbricato, con la riacquisizione della originaria funzione scolastica, il Convitto riprendeva un incessante cammino proteso a irrobustirne la funzione educativa e didattica.
Un percorso, quello scolastico, che dopo aver superato anche la difficile congiuntura legata ai fatti sismici del Friuli del 1976, prosegue tuttora con grande successo nell’attuale Convitto Nazionale “Paolo Diacono”, sede di numerose scuole, dalle primarie alle secondarie di secondo grado.
Note storiche di Claudio Mattaloni