Nato sotto il segno dei pesci, dolce ma altrettanto determinato, Valerio Vecchi lo troviamo impegnato in spettacoli teatrali sotto l’ombra del campanile fin dalla tenera età, per poi avvicinarsi al mondo della tv in veste di autore e conduttore.
Valerio, nel tuo caso è proprio dalla “gavetta” del teatro parrocchiale che nascono progetti ben più ambiziosi, la voglia di vivere ogni giorno il mondo dello spettacolo, di esserne parte integrante. Hai mai rinnegato col tempo quelle esperienze all’interno di un oratorio o, al contrario, ne vai orgoglioso?
“La gavetta è fondamentale, getta basi solide. Io ho avuto l’enorme fortuna di vivere queste esperienze all’interno di un contesto religioso come l’oratorio. Lì, è una scuola di vita. Il rapporto con il pubblico è leggermente diverso: bisogna avere compostezza e utilizzare un linguaggio accattivante, ma educato. Aggiungere ironia, ma senza volgarità. Sono orgogliosissimo di questa esperienza, che fra le altre cose continua da oramai vent’anni, si può dire, perché ho iniziato nei primi anni delle elementari. Mi piacerebbe confermare questa mia identità in contesti più ambiziosi, a carattere nazionale come ho già avuto modo di sperimentare fra le altre cose”.
Nel tuo libro “La spettacolare storia di Ebenizer” edito da PiM e in seguito da Amazon Indipendent Publishing hai forse fatto riferimento all’amore viscerale che provi verso la televisione, il set e il lavoro di redazione?
“In terza persona sì. Essendo autobiografico era quasi del tutto naturale che uscisse questa mia sfaccettatura. Il lato della produzione di un programma, di uno spettacolo dove richiede così tanta attenzione e concentrazione è la parte che mi caratterizza. Riesco a cogliere con fermezza quali punti sottolineare, quali sono invece solo transitori, per “confezionare” un prodotto finito di un certo spessore”.
In tanti sostengono che con l’avvento di smartphone, canali tematici, piattaforme varie, la tv sia un mezzo obsoleto rispetto al web? Sei d’accordo?
“La tv resta e resterà per me il mezzo più potente. È risaputo che io non sia un grande estimatore dei social. I canali tematici, on demand sono l’evoluzione, giustissima, di quello che è la televisione. Bisogna però ponderare e investire il giusto. Non c’è il rischio che tra qualche anno per comodità tutto questo prenda il sopravvento? Dove saranno l’immediatezza e le emozioni di una diretta televisiva che, di pari passo a uno spettacolo dal vivo, tengono incollati gli spettatori? Certo, chi è più preparato di me tecnicamente potrebbe dare una risposta più certa, sicura. Però, ora mi limito a dire che c’è un equo bilanciamento tra la tv e tutto quello che è di giusto contorno. Spero solo che programmi storici non vengano tolti da palinsesti tv per finire su piattaforme alle quali non tutti possano accedere limitando così di molto la platea di pubblico”.
Cosa pensi della proposta televisiva nei palinsesti di oggi?
“A oggi, in tempo di una pandemia che ha colto tutti impreparati, la proposta è stata avvincente. Le repliche, i nuovi programmi, sono stati inseriti nella giusta collocazione, forse è stato dato troppo spazio all’”informazione da pollaio” dove persone non competenti elargivano opinioni su un argomento così delicato, seminando una gran confusione. Ho apprezzato il reinventarsi delle trasmissioni. Chi ama questo lavoro, chi ha a cuore più la sicurezza dei collaboratori che l’apparire ha confezionato prodotti d’eccellenza”.
Spesso, la tv viene additata come diseducativa a dispetto di tutti quei principi con cui la programmazione del piccolo schermo era iniziata nel gennaio del 1954 prefiggendosi sì di intrattenere, ma anche di istruire e diffondere cultura. Qual è la tua opinione al riguardo?
“Ecco. Questo si tende molto a dimenticarlo. Il diffondere cultura. Una canzone: dove nasce? Chi l’ha scritta? Perché non prendersi due minuti per sottolinearlo? Amo chi utilizza un linguaggio tecnico, anche nella danza, per esempio. Da incompetente mi stimola a cercare su internet il significato. Questo è fare una televisione corretta e densa di contenuti”.
Infine, non hai fatto mistero che il tuo sogno è quello di trasferirti a Roma e lavorare nella squadra di Maria De Filippi. Se tu avessi un colloquio con lei, cosa le diresti?
“Ho sempre amato le donne imprenditrici. Non ne faccio mistero, dici bene. Direi semplicemente: “sono simile a te”. Nei modi di pormi, nella compostezza, nella naturalezza. L’unica cosa è che tante volte non riesco a trattenere le lacrime, sono emotivo, spontaneo. Non riesco a forzare un pianto o, al contrario, un sorriso. L’essere simili potrebbe così fare il suo corso. Ci si “annusa”, si capisce che ci sono persone che completano l’esistenza come un puzzle perfettamente agganciato all’altro. Per ora voglio convogliare questa mia vocazione verso un confronto, non un lavoro, una collaborazione. Questo aiuterà innanzitutto me a capirmi, a crescere, poi il tempo e le decisioni faranno il loro corso”.
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