Un anno sul Carso per comprendere la Rotta Balcanica

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redazione

18 Settembre 2020
Reading Time: 3 minutes

L’esperienza del regista Mauro Caputo

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Un anno e mezzo nei boschi del Carso triestino. Il regista Mauro Caputo mette in luce, nel suo nuovo docu-film, “No Borders. Flusso di coscienza”, una realtà che pochi conoscono: la Rotta balcanica. Non ci sono solo i migranti degli sbarchi a Lampedusa mostrati dai media di tutto il mondo, ma anche quelli che attraversando più paesi giungono a Trieste, sul suolo italiano. I migranti invisibili sono loro e sono molti di più dei 5.000 accertati nel 2019. 

«Sono stato quasi ogni giorno nei boschi del Carso – racconta il regista –, lungo il confine tra Italia e Slovenia. Ho incontrato numerose tracce lasciate da migliaia di migranti, provenienti da luoghi lontani che non avrei mai immaginato».

Un numero elevato di persone che entrano in Italia liberandosi della propria identità, evitando pertanto di essere respinti. Abbandonano così anche le loro medicine e ogni documento rilasciato nei centri di accoglienza dove sono stati ospitati, portandosi solo un piccolo zainetto con lo stretto necessario. 

«In realtà da noi stanno pochissimo – spiega Caputo –, cercano di raggiungere Francia, Germania, Spagna e altre mete europee che sono in genere le loro mete. Da qui i dati sottostimati del loro afflusso. La stessa polizia non ha troppo interesse a fermarli, perché sa che da noi sono solo di passaggio. La maggioranza di queste persone – prosegue il regista – cerca di lasciare quanto prima l'Italia autonomamente. Si crea così un passaggio di migliaia di “invisibili” che nelle intenzioni non vogliono rimanere sul territorio italiano e che in gran parte sfugge alle statistiche ufficiali. Questa zona boschiva può essere così considerata la vera porta d'Europa sulla Rotta Balcanica. Questa è la realtà che ho voluto testimoniare in No Borders. Flusso di coscienza».

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Nonostante i tanti sconfinamenti di giorno e di notte, a ogni ora, il regista Mauro Caputo, nel Carso triestino, ha girato per i boschi passando indisturbato: «Mai nessun controllo. Non ho incontrato nessun genere di ostacoli, ma solo le tracce e i volti degli invisibili che arrivano ogni giorno. La sensazione è che questi mancati controlli siano in un certo senso “voluti” e questo passaggio in qualche modo “tollerato”: se venissero fermati occorrerebbero traduttori, avvocati, un iter complicato. Nonostante questo, la popolazione di Trieste comincia a essere sensibile al fenomeno. Certo – aggiunge – è più facile individuare e contare quelli che arrivano coi barconi, ma la Rotta balcanica esiste e nessuno se ne accorge troppo».

Nel film dedicato a Giorgio Pressburger, amico del regista, non c'è nessuna testimonianza né alcuna intervista, a parlare è solo la voce fuori campo dell'attore Adriano Giraldi che segue le tracce nei boschi lasciate da questo esercito di invisibili pronti a distruggere ogni cosa del proprio passato pur di iniziare una nuova vita in Europa. 

«Ho trovato inoltre con stupore – sottolinea Caputo – i documenti che testimoniano un fenomeno molto più vasto di quello descritto dai media, il passaggio di persone provenienti dall'Afghanistan, Algeria, Azad Kashmir, Bangladesh, India, Iraq, Iran, Libia, Malesia, Marocco, Nepal, Pakistan, Siria, Somalia, Tunisia che deve far riflettere sulla sua reale entità ed evoluzione, anche in termini di emergenza umanitaria».

La tipologia dei migranti in fuga è la stessa di quella degli sbarchi: «La maggior parte sono maschi adulti – dice il regista –, ma anche tante donne e bambini, ultimamente ci sono più famiglie in fuga sulla Rotta balcanica».

Gente costretta ad accettare “The Game”, il nome dato alla Rotta migratoria nei Balcani chiamata così perché, come in una simulazione di gioco, un migrante ci prova decine di volte, correndo rischi elevatissimi, fino a quando non riesce a entrare. Frase pronunciata più volte dalla voce narrante nel film, a rimarcare l'inevitabilità del fenomeno: “Non si può fermare un fiume”. Non si può mettere una diga a questo esodo. «Una persona su 97 è in questo momento in fuga – conclude Caputo – almeno secondo i dati Onu».

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