Il diavolo sull’altopiano

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Vanni Veronesi

28 Maggio 2019
Reading Time: 7 minutes

Sir Richard Francis

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Soldato, esploratore, geografo, poeta, saggista, linguista, antropologo, ambasciatore, avventuriero, spadaccino, conoscitore di 29 lingue: in questo articolo ripercorriamo l’affascinante vicenda di sir Richard Francis.

Una giovinezza ribelle

Il 19 marzo 1821, nella città inglese di Torquay, Joseph Burton e sua moglie Martha Baker festeggiano la nascita del figlio Richard Francis. Il lieto evento è solo una parentesi fra un viaggio e l’altro: Joseph, colonnello dell’esercito di Sua Maestà, è costretto a continui trasferimenti in ogni angolo d’Europa, con moglie e figlio al seguito. Il piccolo Richard cresce dunque fra Tours, Lione, Marsiglia, Livorno, Siena, Perugia, Firenze, Roma, Napoli, dimostrando da subito uno spiccato interesse per le lingue: ancora ragazzino, è già in grado di padroneggiare francese, tedesco, italiano e napoletano, nonché latino e greco. L’educazione del piccolo Richard, del resto, è una miscela esplosiva di assoluta anarchia e di studio feroce, tanto vasto quanto disordinato: così, quando a 19 anni viene spedito al Trinity College di Oxford, il suo animo ribelle lo porta prima a confliggere con i professori del Dipartimento, ancorati a metodologie di insegnamento per lui intollerabili, e poi a essere espulso dal College. Nessuno, però, può fermare Richard, ormai avviato allo studio del sanscrito, l’antico idioma dell’India storica che nel 1786 era stato riconosciuto come parente stretto di molte lingue occidentali: sono gli anni in cui nasce il concetto di ‘indoeuropeo’ e Burton non può certo guardare la scienza da lontano. Arruolatosi nella Compagnia delle Indie, sbarca dunque a Bombay nel 1842.

Nei panni di Mirza Abdullah

Le occasioni per mettersi in mostra non mancano: Richard è alto e robusto, un talento naturale della boxe e della spada, ma è soprattutto la sua abilità nell’apprendimento dei dialetti locali a colpire il generale Charles James Napier, che lo assume come interprete al distaccamento di Karachi (oggi in Pakistan). Proprio per conto di Napier avvia una inchiesta su un bordello frequentato da molti ufficiali inglesi: sotto le mentite spoglie del mercante Mirza Abdullah, riesce a documentare abusi sessuali su bambini, attirandosi l’ira di molti settori dell’esercito di Sua Maestà. Censurato il faldone e stroncata la sua carriera, Burton torna a Londra nel 1849 e mette nero su bianco l’ostilità delle tribù locali nei confronti dei dominatori, ma il rapporto viene bloccato ancora prima di andare in stampa.

Forte di ulteriori undici lingue aggiunte a un già ricco carnet, riversa allora tutta la sua conoscenza sull’India in vari libri storico-antropologici, in cui descrive con assoluta libertà pratiche culturali e sessuali che scandalizzano la puritana società inglese. Questa fama di autore maledetto non impedisce alla nobile cattolica Isabel Arundell di innamorarsi di lui nel settembre 1850, ma a Richard l’Europa sta stretta: nel 1853 parte quindi per l’Egitto, dove veste nuovamente i panni di Mirza Abdullah per tentare un’impresa impossibile. È dal 629 che, per volere dello stesso Maometto, l’accesso alle città sante di Medina e La Mecca è proibito agli «infedeli», pena la conversione forzata o la condanna a morte: l’intento di Burton è quello di introdursi nel luogo più sacro dell’Islam per descrivere un’esperienza spirituale sconosciuta in Occidente. Dopo mesi di rocambolesche peregrinazioni, Richard-Mirza compie l’epica impresa. Il libro che ne deriva potrebbe finalmente riconciliare Burton con gli ambienti intellettuali della madrepatria, ma l’avventuriero inglese ha ben altri programmi: di ritorno in Egitto, un missionario rientrato dall’Africa centrale gli parla del mistero delle sorgenti del Nilo, dibattuto sin dai tempi di Erodoto.

Le due spedizioni in Africa

Reintegrato (con fastidio) nell’esercito della Compagnia delle Indie, gli viene assegnata una missione nel Corno d’Africa: Richard sceglie come compagni di viaggio i fidati W. Stroyan e G.E. Herne, ma le alte sfere gli affiancano pure J.H. Speke, al solo scopo di sorvegliare le sue mosse. Stroyan ed Herne dovranno esplorare la zona di Berbera e indagare sul traffico degli schiavi nell’area; Speke verrà inviato nel Wadi Nogal, alla ricerca di vene aurifere sotterranee; Burton cercherà di spingersi ad Harar, ennesima «città proibita» dell’Islam. Separatasi il 18 ottobre 1854 con l’accordo di ritrovarsi sulla costa yemenita, Stroyan, Herne e Burton si riabbracciano ad Aden il 9 febbraio seguente, mentre Speke arriverà settimane dopo, senza aver mai raggiunto il Wadi Nogal, con un esotico quanto inutile bottino di trofei di caccia. Tuttavia non c’è tempo per litigare: mentre Burton scrive il resoconto della sua spedizione, da Londra arriva finalmente il permesso per cercare le sorgenti del Nilo. I quattro, a capo di una delegazione piuttosto ampia, si rimettono in viaggio per l’Africa centrale e approdano nella città somala di Berbera, dove la notte del 19 aprile vengono sorpresi da un attacco delle truppe indigene: Herne, Speke e Burton riescono a salvarsi per miracolo, mentre Stroyan muore sotto i colpi di machete.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Fallita la spedizione, Richard torna a Londra e si rifugia fra le braccia di Isabel. I due si fidanzano, ma Burton riparte ancora una volta, prima alla volta della Guerra di Crimea e poi nuovamente in Africa, nel 1856, per riprendere la ricerca assieme a Speke. I due scoprono nel 1858 il lago Tanganica, ma il Nilo non nasce certo qui: in compenso, fanno la loro comparsa febbri malariche violentissime. Il primo a riprendersi è Speke, al quale Burton concede di ripartire da solo pur di non far naufragare la missione: un errore in buona fede che pagherà per tutta la vita. Speke, infatti, arriva al più grande bacino idrico del continente africano, riconoscendolo come effettiva sorgente del Nilo e chiamandolo lago Vittoria in onore della regina inglese. I due si ricongiungono a Zanzibar con l’accordo di divulgare assieme la straordinaria scoperta alla Royal Geographical Society di Londra, ma appena tornato nella capitale britannica Speke fa il suo annuncio da solo, arrogandosi tutto il merito della spedizione.

Nel resto del mondo

Richard chiede un confronto pubblico per rivendicare le sue ragioni: in attesa che la situazione si sblocchi, parte per gli Stati Uniti d’America, dove continua la sua personale ricerca sulle religioni del mondo studiando usi e costumi dei mormoni a Salt Lake City. Rientrato in Inghilterra, si sposa con Isabel nel 1861 all’insaputa della madre di lei, fortemente ostile allo scapestrato Burton, che ovviamente riparte pochi mesi dopo per una nuova missione diplomatica: console britannico presso l’isola di Fernando Poo (oggi Bioko), al largo della Guinea Equatoriale. Nel frattempo le acque si sono mosse: il confronto con l’ex compagno di viaggio viene fissato per il 16 aprile 1864, ma proprio il giorno prima Speke muore in un misterioso incidente di caccia. Qualcuno penserà addirittura a un suicidio: una morte da scopritore delle sorgenti del Nilo anziché una vita da rinnegato. Burton, impossibilitato a sostenere le sue ragioni, precipita nella depressione, ma per fortuna arriva un nuovo incarico: console a Santos, in Brasile. Da qui si sposta a San Paolo e Rio de Janeiro, quindi in Amazzonia, Paraguay e Perù. A Lima viene raggiunto dalla notizia lungamente attesa: è stato nominato console a Damasco, finalmente con Isabel al suo fianco. Ma la permanenza è breve: nel 1871, entrato in collisione con il governatore turco, Burton viene richiamato in patria dal governo inglese, poco propenso allo scontro diplomatico con l’Impero Ottomano.

L’ultimo atto

Dopo un viaggio in Islanda, Burton riceve l’ultimo incarico della sua vita: console a Trieste, placido avamposto austroungarico sull’Adriatico, quasi una condanna a morte per un uomo come lui. È con questo spirito che Richard e Isabel

arrivano nella città giuliana alla fine del 1872, alloggiando prima all’Hotel de la Ville (attuale sede di Fincantieri sulle Rive), poi in due appartamenti in piazza Libertà, quindi all’Hotel Obelisco di Opicina e infine, dal 1883, a Villa Gossleth – Economo, in Largo del Promontorio, che diventerà una sorta di casa-museo stracolma di libri e oggetti raccolti in ogni angolo del mondo. A Trieste Burton inizia il secondo e ultimo tempo della sua vita: dopo aver dato alle stampe una serie di libri dedicati ai suoi viaggi passati, prende confidenza con una città e un territorio che pian piano fanno breccia nel suo cuore. Percorrendo in lungo e in largo i dintorni, scrive una quantità sterminata di articoli e libretti di argomento storico, antropologico, linguistico e archeologico, con interessanti lavori sulle terme romane di Monfalcone e i castellieri dell’Istria apprezzati da Arthur Evans e Heinrich Schliemann, scopritori rispettivamente di Creta e Troia, che verranno a trovarlo in città. Ed è sempre a Trieste che Burton traduce per la prima volta in una lingua occidentale Le mille e una notte e il celebre Kama Sutra: l’ennesimo scandalo di un uomo ormai condannato all’inferno.

La morte lo coglie il 19 ottobre 1890. L’amata Trieste accorre in massa ai suoi funerali, ma sua moglie ha altri piani. Il 27 ottobre, nel giardino di Villa Gossleth – Economo, si accende un apocalittico falò: per «salvare l’anima» del marito, la cattolica Isabel brucia migliaia e migliaia di pagine ancora inedite, compresa la traduzione dall’arabo del trattato erotico Il giardino profumato e altre opere compromettenti.

Eppure, dalle ceneri di questo gesto disperato divamperà un incendio opposto: quello che nella seconda metà del Novecento si propagherà in tutto il mondo con il nome di «rivoluzione sessuale». 

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