L’astro che illuminò la bassa friulana

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redazione

8 Febbraio 2019
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L’Arenella

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Fin da piccolo la mia vocazione era quella di diventare architetto. E la strada sembrava spianata. Terminato infatti il liceo artistico a Venezia, fui presentato a Max Fabiani che, abbandonato il ruolo di rettore della cattedra di architettura proprio a Vienna, si era sistemato a Gorizia per trascorrere gli anni della pensione. Dopo aver visionato i miei progetti, si offrì di impartirmi lezioni di architettura, garantendo che mi avrebbe seguito durante l’intero percorso universitario, fino alla laurea. Nei due anni successivi  ebbi il privilegio di frequentare il suo studio: condizione che si interruppe bruscamente nel momento in cui venni chiamato a svolgere il servizio di leva.

Al mio ritorno, infatti, i miei genitori mi comunicarono due cose. La prima, che non avevano più le possibilità economiche per sostenere i miei studi. La seconda, che avevano acquistato un terreno nel nostro paese natio, Fiumicello. Si trattava di una porzione di una grande fattoria in cui erano presenti mucche e tori. Situato in via Gramsci, il suo nome era tutto un programma: “Ledamar di Gasparut” (in friulano, letamaio di Gasparut). Ma forte dell’esperienza acquisita proprio con Max Fabiani, mi misi subito al lavoro. Perché in quel luogo io vedevo già altro. Progettai un edificio a due piani, con appartamento e locali da adibire a bar. Trovai un geometra, Gino Basutto, che firmò il progetto consentendo il via ai lavori di costruzione. I miei genitori, nel frattempo, avevano deciso di affidare la gestione del loro negozio di alimentari in centro paese a mio fratello Tonino.

Nel 1956, terminati gli interventi, aprii il mio bar. Come fatto per la struttura esterna, decisi di optare per soluzioni futuristiche anche nella scelta degli arredi interni. Una soluzione audace per l’epoca, al punto che il giorno dell’inaugurazione il prete giunto per la benedizione di rito disse perplesso: «Il locale non lavorerà perché è troppo lussuoso». Invece fu un successo.

Nel giro di poco tempo dovetti attivarmi per ampliare lo spazio dedicato alla sala tv, per far fronte al numeroso pubblico. Tuttavia, avevo ancora diverse novità da introdurre. La prima era un Jukebox, destinato a mio avviso a prendere rapidamente piede. Mio fratello era contrario, sostenendo che avevamo già troppi debiti. Ma io feci di testa mia, e in società con un rappresentante, lo acquistai e lo sistemai proprio nella sala tv. Fu un altro grande successo, tanto che in poco tempo riuscii a saldare il debito.

La novità attirò ancora più persone che, oltre a scegliere le proprie musiche preferite, si scatenavano ballando. E così dovetti pagare una tassa perché si ballava… La mia creatività, inoltre, non mi dava pace, sollecitandomi sempre a fare un passo più in là. Così mi rimisi a progettare, per mettere nero su bianco la mia nuova visione: un locale circolare con orchestra in mezzo.

Terminati tutti i disegni, come fatto in passato mi ripresentai dal geometra Basutto per ottenere la firma del professionista. Questa volta però non solo si rifiutò, ma andò anche dai miei genitori a dire che ero pazzo perché avevo progettato una cosa folle. Non fu sufficiente per scoraggiarmi. Trovai un altro geometra che firmò i miei progetti, consentendomi di realizzare il mio sogno. Una struttura circolare come un’arena che, su suggerimento dell’altro mio fratello Glauco, battezzai con il nome “Arenella”. Era il 1960.

Avendo contratto ulteriori debiti per la realizzazione del nuovo locale, dovetti inventarmi soluzioni innovative e di poco costo per l’arredamento. Per l’illuminazione puntai a inserire delle lampadine all’interno dei gusci delle noci da cocco appesi al soffitto. Sopra l’orchestra feci sistemare una tendina circolare in raffia, mentre altre zone furono decorate con bambù. Realizzai inoltre personalmente enormi mascheroni in stile africano da appendere alle pareti, alternandoli con quadri da me dipinti raffiguranti scene di balletti africani. Una scelta che il pubblico gradì ampiamente, spingendomi a un passo ulteriore: attrezzare il locale con una cucina per adibirlo a ristorante. Non solo, decisi anche di proporre la pizza che, all’epoca, in provincia era una cosa pressoché sconosciuta. Avendo difficoltà a trovare un forno a legna, mi rivolsi a tre anziani artigiani di Buia che lavoravano per il museo di Aquileia. Su richiesta, realizzarono i radiali per un forno circolare. E anche questa mia idea si trasformò in realtà.

Inizialmente la pizza non ebbe successo, ma pian piano ne esplose il consumo. Per valorizzare il servizio ristorante, inoltre, proposi anche il piatto di mezzanotte: una pastasciutta condita con sughi di mia invenzione. Così come di mia scelta erano le orchestre chiamate a esibirsi all’Arenella. Una sera, mentre ascoltavo un complesso a Trieste, rimasi colpito da un giovane mentre cantava una canzone: lo volli a tutti i costi nel mio locale. Il suo nome era Lorenzo Pilat. A Fiumicello cantò per diversi anni, prima di affiancare Celentano e divenire per tutti Pilade.

Nel frattempo il mondo e la società continuavano a evolversi, così anch’io, negli anni ’70, decisi di rivoluzionare il locale. Chiusi con la pizza, ormai inflazionata dalle numerose pizzerie sorte sul territorio, e puntai sulla cucina di pesce. Il forno continuai a utilizzarlo per gli arrosti e per cuocere il pane. Comprai anche un pianoforte, che posizionai proprio nel ristorante. Il banco bar venne completamente rinnovato, così come la sala da ballo arredata da box semicircolari imbottiti. Feci costruire un palco girevole per l’orchestra che, nella roteazione, si alternava con un disc jockey. L’area centrale del locale dove in precedenza suonava l’orchestra venne invece adibiti a pista da ballo, attorniata da vetrate che decorai personalmente con uccelli e fi ori, mentre sul soffitto feci realizzare dei rosoni illuminati.

La mia passione per l’arte, intanto, mi aveva riavvicinato alla pittura. Il locale era aperto dal venerdì alla domenica nei mesi invernali. Nel resto del tempo esponevo le mie opere in mostre in giro per l’Italia e all’estero. A Milano ebbi l’occasione di esporre al “Derby”, famoso locale di cabaret, dove strinsi amicizia con il proprietario. Un legame che mi permise di portare all’Arenella molti personaggi famosi che si esibivano nel suo locale. Così a Fiumicello i venerdì sera videro arrivare artisti quali Silvan, Mike Bongiorno, Mauro Di Francesco, Ezio Greggio, Gerry Calà, Lino Toff olo, Pippo Baudo, I Gatti di Vicolo dei Miracoli, Enrico Beruschi e molti altri. Incuriosita dalla fama crescente dell’Arenella, una troupe cinematografica venne addirittura a girare diverse scene di un film di Fabio Testi.

Intanto, la gestione del supermercato di mio fratello risultò sempre meno redditizia: Tonino decise di affittarlo e tornò a lavorare con me. Agli inizi degli anni ’80 decisi di adibire a ristorante anche il primo piano della struttura, caratterizzandolo con vetrate dipinte con lacca per le unghie, sedie in giunco e soffitto a quadroni con la stampa di un mio disegno plastificato.

Nel frattempo con mio fratello la situazione andava degenerando. Tonino curava l’aspetto amministrativo e i contatti con i fornitori, ma non condivideva il mio modo di gestire e di arredare il locale. Appariva chiara la sua voglia di gestirlo in proprio. Io ero stanco del clima che si era creato: la pittura mi dava sempre maggiori soddisfazioni, così andai da mia madre manifestando l’intenzione di voler lasciare a Tonino la gestione del locale. Lei si mise a piangere, pregandomi di restare.

Nel 1986 presi la decisione definitiva. Facemmo scambio di attività: Tonino mi passò il suo super mercato e io gli cedetti l’Arenella, con immensa gioia di mio fratello. Infatti diede subito il via alla trasformazione in un locale secondo le sue idee e il suo gusto. L’Arenella venne completamente trasformato. In poco tempo fu spogliato di tutto ciò che io avevo creato e inventato: non gli vennero tolti solo gli arredi e i mobili, gli venne tolta l’anima.

Diventò un locale completamente diverso, destinato a subire un lento ma inesorabile declino che lo portò alla chiusura.

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