Nuova impresa per Mauro Buoro

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redazione

16 Aprile 2018
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Dopo l’esperienza a Berlino

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Venerdì 13 aprile, dopo un pomeriggio relativamente tranquillo, nel quale i preparativi degli ultimi dettagli non hanno lasciato spazio alla tensione, verso le 23 raggiungo in bici da casa mia a Perteole la piazza di Ruda. Mio figlio Michele ha allestito un piccolo rinfresco per coloro che sono venuti a salutarmi: il suo aiuto per me è fondamentale perché mi rende tranquillo. Tra le persone giunte a sostenermi scorgo a sorpresa la mia dietologa, la dottoressa  Paola della Montà dell’ospedale di Palmanova: lei è il mio angelo.

Mentre salgo in sella per la partenza delle 24 ore mi assale qualche dubbio: ho preso tutto? Cerco di non pensarci e di concentrarmi sulla pedalata. Grazie alle luci installate sulla bici sono molto visibile, tuttavia avvicinandomi alla “costiera” in direzione Trieste il buio attorno diventa assoluto e il freddo pungente. Sento l’acqua del Timavo scorrermi vicino così come il verso delle civette. Resto vigile: caprioli e cinghiali potrebbero sbucare all’improvviso.

Vedo in lontananza le luci di Trieste e inizio la discesa verso la città. Sono sudato e la bici è pesante: con le borse che ho posizionato non ho una buona stabilità. Ma non posso fermarmi.

Arrivo a Barcola, calma piatta: non c’è nessuno. Una sensazione bellissima.  Alle 2.37 arrivo in piazza Unità; c’è un po’ di movida e approfitto per mangiare la prima barretta e, soprattutto, per bere: mi sono imposto di farlo ogni 40 minuti.

Ritorno indietro verso Monfalcone, l’orologio segna le 4. Ora il freddo si fa sentire e mi costringe a fermarmi per indossare abiti più pesanti. Riparto in direzione Gorizia per raggiungere Cormòns e poi via per Cividale: è qui che nelle prime ore del mattino il freddo si avverte maggiormente. Ma osservare l’alba e fotografarla ripaga di tutte le fatiche. Proprio a Cividale mi fermo per una prima colazione calda: una manna.

Riparto alla volta di Faedis, Attimis, Nimis con il suo Passo di Monte Croce, per poi giù verso Tarcento. Con altri 100 km sulle gambe cerco di aumentare il ritmo: alle 11.30 mi attende a Osoppo la vicesindaco Ida Copetti. Arrivo con 15 minuti di ritardo. Assieme alla vicesindaco c’è anche l’assessore Renzo Pellegrini. Plaudendo la mia iniziativa mi regalano due libri sulla storia di Osoppo e uno sulle Orchidee selvatiche: in questo territorio esistono 34 specie diverse. Mi invitano alla tradizionale festa del 20 maggio e poi mi donano il regalo più bello: la medaglia della città. Quando nelle settimane precedenti avevo incontrato il sindaco Paolo  De Simon per presentargli il mio progetto in bici, avevo confidato che dopo il terremoto del 1976 ero venuto proprio a Osoppo a dare una mano per la ricostruzione.

Devo ripartire, ma sia la vicesindaco che l’assessore insistono per mangiare una pizza insieme: “Devi mangiare con tutta la fatica che hai fatto…”. La loro gentilezza mi emoziona e mi dà la carica per il prosieguo.

La giornata inizia a diventare calda: mi tolgo un po’ di maglie, inizio a bere molto e a mangiare in modo regolare per controllare i cali di glicemia, altrimenti ti si spegne la luce. Arrivo a Sequals e sono già 215 Km sulle gambe: iniziano a fare male, anche il sedere dopo tante ore sulla sella è indolenzito.

Procedo verso la pianura del Pordenonese fino a Caneva e poi Sacile. Il caldo si fa sentire, devo stare attento che non si formino delle piaghe. Incontro tanta gente anche nei bar dove mi fermo per bere una bevanda fresca: l’acqua nelle due mie borracce sa di te caldo, ma va bene così. Questo è lo spirito del ciclista che fa tanti chilometri: prendere tutto quello che hai e non lamentarsi mai. La gente mi incita e quando scoprono che ho 61 anni rimangono sbalorditi.

Scende la sera e torno di nuovo a vestirmi. La stanchezza inizia a farsi sentire, devo regolare le forze pensando a tante situazioni belle: è così quando sei per 24 ore in bici da solo. Accendo tutte e sei le luci posteriori mentre percorro la Napoleonica: la strada è pericolosa ma è la via più veloce per tornare a casa. Manca poco ma sono in crisi. Decido di fermarmi al Ristorante “Al Napoleon” per bere una Coca Cola affinché gli zuccheri entrino subito in circolo. Chiamo mio figlio Michele Buoro, sento il bisogno del suo sostegno, come successo a Berlino.

Riparto, dopo qualche chilometro lo vedo arrivare assieme a sua moglie Francesca. Nella mia testa ritrovo le ultime energie mentre Michele cattura questi momenti con la macchina fotografica. Mi sembra di essere tornato indietro di un anno, in Germania: mi figlio ha sempre creduto nella mia forza.

Vedo il campanile di Mortegliano. Mi dico che oramai è fatta, ma più corro più il campanile appare sempre distante.  Cerco un altro punto di riferimento: vedo la luce di un lampione, mi do l’obiettivo di raggiungerla.  Ma anche quella sembra non arrivare mai. In quei momenti capisci stai andando piano.

Stringo i denti e, dopo 325 km in solitaria, finalmente arrivo a Ruda, nella piazza da cui ero partito il giorno prima. Michele organizza un brindisi con tanto di spumante e bandiera del Friuli. Ho sete, berrei tutta la bottiglia. Ma le ultime forze le tengo per ringraziare tutti e, soprattutto, dire: “Io ce l’ho fatta!”

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