“Il precariato disumanizza le persone”

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redazione

4 Febbraio 2016
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Il monito dal Future Forum

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Per l’economista britannico Guy Standing (Università Soas di Londra), intervenuto al Future Forum 2016 della Camera di Commercio di Udine, i precari devono lottare per una vera rappresentanza, con alcuni obiettivi chiave da ottenere: redistribuzione della sicurezza, del controllo del proprio tempo, dell’accesso a spazi e luoghi di qualità, redistribuzione di una vera istruzione e della conoscenza finanziaria. Tutte cose oggi completamente fuori dalla portata per qualsiasi precario che, secondo il docente e uno dei massimi studiosi della questione, va combattuto in radice. Perché “disumanizza” le persone.

Perché, ha rimarcato il docente, che oggi ha dialogato proprio con una ricercatrice precaria dell’Università di Udine, la giuslavorista Anna Zilli, in dialogo con Stefano Feltri de Il Fatto Quotidiano, «se sei un precario diventi un “supplicante”, devi chiedere tutto, fare affidamento sulla carità. Il precariato porta sempre più allo svilimento di diritti di cittadinanza, di diritti sociali, politici ed economici e toglie tempo alle persone, tempo che viene invece impiegato non per lavorare ma per arrabattarsi tra scartoffie, burocrazia, attese tra un impiego, spesso mal pagato, e l’altro».

Una soluzione possibile e indispensabile, per Standing, è che si faccia un passo, globale, verso un’applicazione del reddito base di sussistenza, che ha un «potente effetto emancipatore. E richiede coraggio politico introdurlo». Un coraggio che ancora non c’è, ma che Standing intravede all’orizzonte, ricordando che alcuni governi, regionali e nazionali, «non solo lo stanno ritenendo percorribile, ma lo stanno addirittura sperimentando praticamente».

Dobbiamo dunque pensare in un modo nuovo, ha confermato Anna Zilli, «perché siamo già “oltre la crisi” e abbiamo perso moltissimi posti di lavoro: dobbiamo recuperare il tempo e la cittadinanza del lavoro, dobbiamo riportare il tema del lavoro al suo vero cuore e cioè non alla precarietà, allo sfruttamento,  ma nella prospettiva di vita».

E i voucher sfociano mai in un poi a un «buon lavoro?», le ha chiesto Feltri. «Per come sono oggi – ha risposto Zilli – permettono qualsiasi tipo di abuso. Sbagliamo se togliamo diritti al “vecchio lavoro” convinti di salvare quello nuovo e futuro». Non si può però guardare indietro, bisogna guardare in modo nuovo anche a ciò che sta attorno al lavoro, «alle sicurezze che devono derivare non solo dal rapporto di impiego tradizionale ma anche da un mondo solidale, sociale – ha detto Zilli –, che passa anche attraverso istituti fondamentali come il reddito cosiddetto di cittadinanza».

«I precari – ha aggiunto Standing – sono infatti privati anche di una vera identità lavorativa o aziendale, privati di una narrativa di sé come lavoratori da poter raccontare, hanno scarse possibilità di cambiamento anche se hanno competenze molto spesso superiori rispetto al lavoro che fanno. Non hanno accesso a rete di assistenza o previdenza sociale e sono sempre più esposti alla trappola della povertà, dovendo accettare lavori di breve durata e poco pagati e ritrovandosi dopo pochi mesi o settimane nuovamente alla ricerca». Un precario si guarda allo specchio «e vede un fallimento personale – ha commentato lo studioso –. Ma in realtà oggi ci sono sempre più persone che vedono davanti a sé questa stessa immagine. Sono una vera comunità, che sta trovando un senso di riconoscimento collettivo in questi anni. Deve esserci una voce che rappresenta questa realtà diffusa, perché i sindacati finora non si sono battuti per il precariato, non l’hanno capito. Dunque chi è precario deve mobilitarsi e lottare per sé come categoria, perché altrimenti il precariato diventa la tempesta perfetta della perdita dei diritti».

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