L’avventura della conoscenza

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Vanni Veronesi

16 Gennaio 2015
Reading Time: 8 minutes

Basilio Brollo nella Cina del Seicento

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Un mondo al contrario

Cina, Canton, 27 novembre 1684:

Se desidera notizia dalla China, impero che consiste in 15 provinzie che sono altrettanti grandissimi e popolarissimi regni, si prefigga ciò ch’un antico missionario m’ha detto, cioè che è un rovescio totale dell’europeo. Il vivere, il vestire, il praticare, il parlare, il concepire istesso è tanto opposto al nostro che non saprei che dire d’avantaggio.

Basilio Brollo in una miniatura d’epoca

A scrivere questa lettera destinata al padre è Basilio Brollo, nato a Gemona del Friuli il 25 marzo 1648 da Valerio e Giovannina Rodisei, esponenti della piccola nobiltà locale. Compiuti i primi studi al collegio gesuitico di Gorizia, al manifestarsi della vocazione religiosa intraprende il noviziato. Poco dopo l’ordinazione è già Lettore di Filosofia e Teologia, ma nel 1680 una vera e propria ‘chiamata’ lo porta a una decisione clamorosa: abbandonare la sicurezza dell’insegnamento e partire come missionario per la Cina. La missiva è dunque la prima, straniante impressione a tre mesi dal suo arrivo nel Celeste Impero, dove nel XIV secolo Giovanni da Montecorvino e Odorico da Pordenone avevano instaurato una comunità cristiana, cresciuta nel Seicento con l’apostolato di Matteo Ricci: entrare nella scia di questi straordinari pionieri, per Basilio, significa far parte di una ‘storia’, se non della Storia. Perché questa è una società ancora ‘vergine’: «È la China un mondo in epilogo: genti senza fine, terre senza termine, superstizioni senza numero, cristianità pochissima in comparazione al numero innumerabile quasi degl’abitanti» (lettera al padre, Canton 4/9/1687).

Una sfida della mente

Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana; manoscritto Rinuccini 22, autografo di Basilio Brollo contenente il suo primo vocabolario cinese – latino, composto a Nanchino dal 1692 al 1694. L’immagine (carte 8 v. e 9 r.) riporta una sezione dell’indice.

A Canton Basilio è ospite di alcuni francescani spagnoli: vi giunge dopo un anno e mezzo di permanenza in Thailandia e qualche giorno di transito a Macao, colonia portoghese (rimarrà tale fino al 1999). L’approdo ‘ritardato’ ha una motivazione chiara: prima di arrivare in Cina ed evangelizzare la popolazione, occorre conoscere la lingua locale. Già in Thailandia, dunque, Basilio inizia a studiare il cinese mandarino. Ma cosa significa imparare un idioma così complesso? Per gran parte del mondo, scrittura equivale ad alfabeto, ossia il principio per cui a ogni suono corrisponde un simbolo. Un’invenzione ‘recente’ in confronto alla storia dell’umanità, che per millenni ha scritto – e in vari casi ancora continua – sulla base di un principio più immediato: per ogni parola un diverso simbolo, definito ideogramma.

Basilio ha ben chiaro il problema: a proposito degli ideogrammi cinesi, afferma che «per apprenderli intieramente non basta la vita intiera d’un huomo. Il necessario, però, che sono cinque in sei mille, col aiuto del Signore non diffido d’arrivarlo» (lettera al padre, Canton, 4/9/1687). E mentre l’Occidente compone in righe orizzontali da sinistra a destra, nel cinese dell’epoca «si cominzia a leggere dove noi finiamo» (idem, 28/10/1687) e si scrive in colonne verticali da destra verso sinistra.

Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana: manoscritto San Marco 309, contenente il secondo vocabolario cinese latino composto da Basilio Brollo nel 1699

C’è di più. Oltre duemilatrecento anni fa, Aristotele ha insegnato all’Occidente che la struttura del pensiero si rispecchia nella formulazione della frase, scomponibile nell’analisi logica. Da allora, in una proposizione come «la luna brilla nel cielo», l’Occidente riconosce ne «la luna» il soggetto, perché è di essa che si ‘predica’, in quanto autrice dell’azione «brillare». Al contrario, duemilacinquecento anni fa Confucio ha lasciato intendere all’Oriente che ‘soggetto’ è quello su cui viene concentrata la mia attenzione, perché la realtà non è tanto ciò che appare in sé, bensì il mio modo di rappresentarla: così, nella frase «la luna brilla nel cielo» ‘soggetto’ è «il cielo», poiché ospita la luna e la comprende, dunque la supera per ‘gerarchia’ e mi si presenta per primo nella mente. Anche su questo aspetto Basilio non nasconde le difficoltà: «Il concepire istesso tanto diverso dal nostro è causa principale della difficoltà di apprendere la lingua, per il che per ordinarlo bisogna pervertire tutto l’ordine delle nostre frasi per formarne una sua» (lettera al padre, Canton, 27/11/1684).

Senza contare che «una lettera significa intieramente una cosa, né una sola, ma moltissime per esser equivoca: né v’è differenza da’ nomi a’ verbi o adverbi.  L’istessa parola significa amore, amare, amato, amando, in ogni tempo, in ogni numero e caso. Cambia solo se gli si varia il sito o se gl’aggiunge alcuna altra lettera» (idem, 28/10/1687).

Manoscritto Rinuccini 22, autografo di Basilio Brollo contenente il suo primo vocabolario cinese – latino. Nell’immagine è riportata la carta 4 v., in cui il frate spiega la teoria dei cinque toni

Il mandarino, però, presenta un ulteriore problema: lo stesso termine può avere significati diversi a seconda del tono di voce in cui viene pronunciato. E i toni, in cinese, sono ben quattro, più uno neutro per le sillabe diverse dalla prima. Così, il suono wa può essere ‘rana’, ‘bimbo’, ‘piastrella’ o ‘calze’: è sufficiente alzare o abbassare la nota musicale della pronuncia.

Una trasformazione radicale

Altissimo numero di ideogrammi, opposta direzione della scrittura, diversa struttura del pensiero, fonetica mai sentita prima, variazione semantica dovuta al cambio di tonalità: passare dalle lingue occidentali al mandarino implica una trasformazione completa della propria mente, una regressione allo stato infantile per reimparare a parlare. È lo stesso Basilio a dirlo nella lettera in apertura: «Sia benedetto Iddio che per sua pietà m’ha veramente ridotto per forza al stato di fanciullo».

Il poeta cinese Su Shi (1037 – 1101) in un disegno del Seicento. Si noti la barba lunga e il tipico abbigliamento da ‘letterato’, caratteristiche che Basilio Brollo farà proprie per integrarsi perfettamente nella società cinese

Ancora più interessante la confessione che leggiamo in una missiva datata 28 ottobre 1869, inviata al padre da Shangai: «Eccomi, grazie al Signore, ancor vivo e sano, benché già non più mi ravisi di che nazione io mi sia. Chi leggerà mie lettere italiane […] mi conoscerà per tale; chi m’udirà a parlare non saprà s’io sia o spagnolo o portughese o italiano, che tutto lo mistura insieme. […] Così sono mutato […] con barba prolissima, in cui già cominciano apparir le nevi; e ridicolo vestito di tartaro e china».

È l’abbigliamento dei letterati cinesi, che Basilio indossa per integrarsi ancora di più nella società che lo ospita.

L’unione di due mondi: il vocabolario cinese – latino

Dopo pochi anni di studio del mandarino, Basilio è già ingrado di tradurre in latino alcuni classici della letteratura cinese, Confucio in primis. Nel 1692, il frate friulano è quindi pronto per il trasferimento a Nanchino, la vecchia capitale dell’Impero. Qui, raggiunto ormai un livello linguistico eccellente, intraprende un progetto che ha dell’incredibile: un vocabolario cinese – latino. Nel 1694, dopo due anni di lavoro frenetico, l’opera è pronta; per la prima volta, il mandarino viene descritto attraverso il filtro di una lingua occidentale, antica ma tutt’altro che ‘morta’ per gli uomini di cultura dell’epoca. L’originale manoscritto è conservato alla Biblioteca Laurenziana di Firenze: è il codice Rinuccini 22, dove Brollo registra oltre 7.000 ideogrammi con relativa pronuncia, traduzione latina ed esempi fraseologici.

Già nella prefazione si coglie l’acume dell’autore, laddove spiega la teoria dei toni con l’ausilio della musica, come accade ancora oggi nelle grammatiche:

Il secondo tono ha quasi la stessa pronuncia del primo tono ed entrambi dai cinesi vengono chiamati con un solo nome: pinġ xinḡ, ‘voce uguale’. Tuttavia la voce deve essere più profonda e grave, quasi nello stesso modo in cui gli Italiani che esprimono indignazione e animo vendicativo pronunciano ‘mah!’. La distinzione rispetto al primo tono è quasi una quinta musicale, come dista il sol dal do nelle note: iâ, ‘denti’; lô tôe, ‘cammello’.

I diversi valori di hán, indicante il ‘tenere insieme’, ‘contenere’

I termini sono ordinati per radici comuni o per temi: idea geniale, perché permette ai fruitori una rapida immersione nel lessico a seconda delle esigenze comunicative. Tuttavia, Basilio avverte subito la necessità di uno strumento più sofisticato: così, nel 1699, porta a compimento un nuovo dizionario cinese – latino, stavolta ordinato alfabeticamente sulla base della pronuncia. Un metodo che permette di cogliere anche le minime oscillazioni della grafia: si veda ad esempio l'immagine accanto, dove sono registrati i diversi valori di hán, indicante il ‘tenere insieme’, ‘contenere’. Con oltre 9.000 lemmi, questo monumento della cultura ci è giunto attraverso varie copie dirette dell’originale, purtroppo scomparso. Per Brollo, però, il lavoro non è finito; risolto il problema linguistico, a stretto giro vedono la luce i suoi libretti teologici in lingua mandarina, assieme all’altro lato della medaglia: il Brevis methodus confessionis instituendae, dedicato ai futuri missionari per spiegare come evangelizzare i cinesi, calandosi nella loro psiche e guardando la realtà con i loro occhi.

L’epilogo

È dalla partenza, nel 1680, che Basilio non rivede la sua terra e i suoi familiari, con cui si è mantenuto in contatto solo grazie alle lettere. Dopo ventiquattro anni di fatiche in Oriente, il 16 luglio 1704 la morte lo coglie a Xi’an; a Roma il prefetto di Propaganda fide, cardinale Sacripanti, a
cusa il colpo con dolore, salutandolo come «il più grande Missionario ch’abbiamo in tutto il mondo».

Pochi anni dopo, i dizionari di Brollo arrivano in Europa: per oltre un secolo, tuttavia, nessuno è in grado di raccogliere un testimone così impegnativo. Finché nel 1813 monsignor De Guignes dà alle stampe un colossale dizionario cinese – francese – latino, guardandosi bene dal citare il vero autore dell’opera: già l’anno successivo, tuttavia, lo studioso J.P. Abel-Rémusat denuncia il plagio, seguito nel 1819 da J. Klaproth. Oggi, il francescano di Gemona è riconosciuto come il vero iniziatore degli studi sinologici in Occidente, come l’uomo che ha aperto una nuova strada per un’avventura vertiginosa: l’avventura della conoscenza.

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