Niccolò Ammaniti, da scrittore a regista. In FVG per spiegare perché

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redazione

14 Ottobre 2014
Reading Time: 2 minutes

Nel week end a Pordenone e Udine

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C’è chi sognava la California, chi cercava un altro Egitto e chi, ovviamente, desiderava soltanto perdersi – e ritrovarsi – nel cuore dell’India. Lo scrittore Niccolò Ammaniti, per il suo debutto dietro la macchina da presa, ha scelto loro, gli italiani in India, e ci ha costruito attorno The Good Life. Non un romanzo, appunto, ma un documentario, che lo stesso Ammaniti presenterà al pubblico friulano sabato 18 ottobre a Cinemazero di Pordenone (appuntamento alle 21) e il giorno successivo al Visionario di Udine (ore 20).

Prodotto da Erica Barbiani per Videomante, e sostenuto dal Fondo per l’Audiovisivo del Friuli Venezia GiuliaThe Good Life sfoglia la storia di tre buone vite. Tre italiani che si sono trasferiti in India alla ricerca di un riscatto, di un nuovo orizzonte personale, e che non torneranno più in Italia. A Roma li chiamano “rimastoni” e Ammaniti li ha intervistati per raccontare l’unica emigrazione mossa da un sogno di liberazione e non dalla fame…

Baba Shiva è arrivato a Benares negli anni Settanta, su un pulmino, scappando dalla leva. L’india lo ha accolto e gli ha insegnato che la quotidianità è più facile di quello che sembra e che la tolleranza è la regina di tutte le virtù. Eris, invece, ha attraversato l’Asia come un nomade seguendo le stagioni con cavalli, moglie e i figli. Ha trovato il posto dove finalmente fermarsi sull’Himalaya e lì, sopra un costone di erba verde, ha costruito un villaggio di pietre e legno con la determinazione di un imprenditore veneto e l’ispirazione di un sadu. Giorgio, infine, è scappato da casa a tredici anni seguendo delle voci che gli dicevano che doveva andare in India. Dopo aver attraversato due continenti è arrivato in un paesino polveroso affollato di scimmie e con una lunga iniziazione è diventato il custode del tempio.

«La produzione di The Good Life – commenta Erica Barbiani, già pilastro di The Special Need – mi ha vista agire non solo in qualità di produttrice, ma soprattutto di detective. Dopo tre mesi di ricerche realizzate dall’Italia, sono partita per l’India per incontrare quaranta possibili candidati. Zaino in spalla, telecamera in una mano e ombrello nell’altra. Il momento scelto per effettuare il casting era il peggiore: monsone e temperature asfissianti! In due mesi di viaggio, ho percorso una media di 300 km al giorno tra aerei, treni, autobus notturni e rickshaw, per setacciare una nazione che non a caso si chiama subcontinente».

E ancora: «Dentro una caverna ho conosciuto Galeno, un settantenne che trascorre le giornate a sferruzzare maglioni di lana e a preparare risotti ai porcini. A Kanyakumari ho incontrato Giusto, un pescatore di Caorle tanto deluso dall’amore da rivolgersi ai sensali locali per un matrimonio combinato. Santoni, ex-tossicodipendenti, idealisti, anime tormentate e inguaribilmente nostalgiche… Se il documentario di Ammaniti racconta di un Italia che non c’è più, l’esperienza del casting mi ha fatto conoscere un India che dei vecchi hippy comincia a provare un certo imbarazzo. Un’esperienza professionale, e di vita, come poche altre».

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