A Sacile l’uomo che suonò per Mandela

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redazione

10 Giugno 2014
Reading Time: 3 minutes

Il 26 giugno alla Fazioli Concert Hall

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È un’occasione molto speciale quella che si celebrerà giovedì 26 giugno alle 20.45 alla Fazioli Concert Hall: il pianista sudafricano Abdullah Ibrahim – vera icona della musica jazz – ha infatti deciso di registrare a Sacile l’album che uscirà ad ottobre, in coincidenza con il suo ottantesimo compleanno, esibendosi in un concerto, organizzato da FAZIOLI Pianoforti in collaborazione con Circolo Culturale Controtempo, le cui riprese video andranno a far parte integrante di questo atteso progetto.

Già da diversi anni Abdullah Ibrahim è un grande estimatore dei pianoforti FAZIOLI e per questo motivo ha deciso di registrare il suo nuovo album nel luogo dove questi strumenti vengono realizzati. Il concerto nasce proprio da questa fortunata circostanza e si profila come un’opportunità imperdibile sia per gli appassionati di jazz che per tutti gli amanti della grande musica, perché offre la possibilità di incontrare un pianista che, calcando le scene da ben sessantacinque anni, ha scritto un capitolo fondamentale della storia di questo genere. Per il pubblico questa sarà un’opportunità unica per entrare a far parte del prossimo capitolo della storia, il cd che il musicista inciderà per i suoi ottant’anni. Il nome di Abdullah Ibrahim è indissolubilmente legato a quello di artisti come Duke Ellington, John Coltrane, Ornette Coleman, Don Cherry e molti altri.

Ma la sua vicenda umana e professionale non è fatta solamente di collaborazioni con i nomi più grandi della storia del jazz: è direttamente collegata anche agli sviluppi sociali, culturali e storici del ventesimo secolo. Nato a Cape Town nel 1934 come Adolphe Johannes Brand, ha iniziato la sua carriera nel 1949, ancora adolescente, con il nome di Dollar Brand. Non c’è bisogno di spiegare cosa significasse vivere e operare in Sud Africa in pieno periodo di apartheid. Nondimeno, il pianista rimase fino agli inizi degli Anni Sessanta nel suo Paese natale, dove accompagnò Miriam Makeba e fondò la prima importante jazz band del continente africano, The Jazz Epistles. Purtroppo il successo internazionale, esploso dopo l’incisione del primo LP ad opera di musicisti black sudafricani nel 1960, gli causò difficoltà in patria, tanto che decise di trasferirsi in Europa (inizialmente in Svizzera e Danimarca).

Nel 1965, Brand fu “scoperto” nientemeno che da Duke Ellington, che lo portò a New York. Il trionfo al Festival jazz di Newport divenne il suo biglietto da visita a livello internazionale. Fu membro dell’avanguardia newyorkese e, suonando con

Ornette Coleman e John Coltrane, affinò tanto la sua tecnica quanto la sensibilità verso un approccio “spirituale”.

Ha sempre mantenuto forti i legami con l’Africa, ma cercando costantemente alleanze in Europa e Asia. Dal 1968 in avanti, si possono annoverare tra i suoi più stretti compagni di palco musicisti come Don Cherry, Gatto Barbieri e il leggendario bassista sud africano Johnny Dyani.

Nel 1968 Brand si convertì all’Islam e prese il nome di Abdullah Ibrahim, che gradualmente negli anni fece svanire il ricordo del precedente nome d’arte. Durante gli Anni Settanta e Ottanta, divenne la figura più rappresentativa per l’integrazione della scena jazz africana. Basti ricordare gli album Echoes From Africa (1979, in duo con Dyani), African Marketplace (1980), o Zimbabwe (1983) che parlano dell’organica connessione tra il jazz americano e le radici della musica africana – aspetto che non si era mai voluto enfatizzare prima d’allora.

L’abolizione dell’apartheid fu naturalmente una liberazione anche per Abdullah Ibrahim, che suonò per Nelson Mandela nel 1994.

Abdullah Ibrahim non è solo un musicista ma anche un educatore. Ha fondato il Centro M7 a Cape Town che si occupa di formazione artistica e al contempo promuove un approccio olistico, suggerendo ai giovani artisti di avvicinarsi ai segreti della tradizione e della natura facendoli propri. La conoscenza si perde quando non si ascolta la voce della tradizione, questo è il suo credo artistico e personale, e lui stesso ha sempre inteso la musica come una forma di guarigione. 

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