La gemma pietrosa

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Michele Tomaselli

10 Marzo 2014
Reading Time: 7 minutes

L’isola di Syros

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C’è un brano dell’Odissea, nei quali Eumeo, il fedele mandriano di Laerte, sollecitato da Ulisse, apparsogli sotto mentite spoglie, narra le vicende della sua vita travagliata. E mentre egli racconta, gli occhi si riempiono di pianto, e la sua anima si sente presa da una marea travolgente di nostalgie per la Patria lontana, e per la terra, che, ancora fanciulletto, fu costretto ad abbandonare.

Questa terra è Siro, la gemma pietrosa, che si leva alta nel mare Egeo, quasi ad ammonire i naviganti e a indicare loro la strada, dalla quale è agevole scorgere le acrobazie del sole, che gli antichi pensavano rincorresse l’ora del tramonto. Secondo la tradizione, il primo abitante di Siro fu Coeranus, il cui nome vorrebbe dire “luce”, che arrivò su quest’isola a dorso di un delfino, dopo che la sua nave era affondata nel mare lì attorno.

In epoca ellenistica la popolazione registrò una progressiva crescita e i siriani – così comunemente chiamati – trascorrevano il loro tempo lavorando nei campi, accudendo le capre, adorando gli dei e commerciando merci con i fenici, arrivati d’oltremare.

Il contesto era di una bellezza incredibile: lo sfondo paradisiaco del mare lambiva il cielo, i gabbiani in volo scolpivano l’aria come una prora e le onde si infrangevano su spiagge di color ocra in una natura che, come Venere Anadiomene, sembrava emergere dalla spuma del mare. Tutto era avvolto in una dimensione incantata, quasi a rispecchiare il mito di Atlantide.

Di quel mondo leggendario poco è rimasto. Oggi Ermoupoli, centro principale di Syros, capitale delle Cicladi, è una bella città, con numerose residenze neoclassiche, incastonata a cornice della grande baia, che ha ospitato fi no all’Ottocento il porto più grande dell’Egeo. La “Città di Ermes” è il centro culturale più importante delle isole Cicladi, con il suo grande museo archeologico, il teatro Apollo, da molti considerato un modello in miniatura della Scala di Milano, le bellissime cattedrali di Agios Dimitrios e Agios Nikolaos, e il centro storico medioevale, Ano Syros (città alta), arroccato dentro l’abitato.

Gli edifici dell’epoca veneziana e altri in stile neoclassico rendono l’isola una delle più belle dell’Egeo. Una terra di diverse religioni, che lascia traspirare l’essenza dello spirito in un’elettrizzante atmosfera mistica. Cattolici e ortodossi vivono in armonia in un mondo erede di culture e ideologie eterogenee. A Ermoupoli si trova il vescovato cattolico (fondato addirittura nel 1207), il più famoso della cristianità greca. Da qui proviene la maggior percentuale degli aspiranti prelati dell’intera Grecia.

Come tutte le altre isole delle Cicladi, ha subito l’influsso di molte civiltà: in particolare i Veneziani, intorno al XIII secolo,

hanno lasciato le tracce più evidenti. Durante la Seconda Guerra Mondiale venne occupata perfino dagli Italiani, oltre che dai Tedeschi, e il ricordo di entrambi non è certo positivo. Il dopoguerra non comportò una ricrescita economica, in una Grecia alle prese con il conflitto civile seguito dal repressivo regime dei Colonnelli: si dovettero così attendere lustri più recenti per il suo sviluppo economico. Dopo la crisi greca del 2009, si può affermare che alcune isole dell’Egeo, fra cui Syros, sono da annoverarsi fra le aree più ricche della nazione.

È questo il contesto della mia avventura. Ma facciamo un passo indietro.

Il mio continuo desiderio di viaggiare mi ha portato quasi per caso sull’isola di Syros. Avevo conosciuto Marta, donna dal cuore friulano nonostante la sua discendenza matrilineare greca, che, con grande generosità, mi aveva invitato nella sua casa, dinanzi alla baia di Vari. Con il mio inseparabile zaino non mi restava che salpare per un’ennesima avventura.

A Mykonos, capitale della trasgressione e della movida, la notte sulla panchina è lunga da passare: è un via vai continuo di uomini che fuoriescono dai colorati locali del centro. La musica è assordante. Il popolo della notte si accende e si agita fino al sorgere del sole. Finalmente riesco a prendere sonno, ma è già l’ora dell’aurora. Mi accorgo di essere sotto le pale dei mulini a vento di Mykonos e familiarizzo con due uomini in luna di miele. Insieme a loro scorgo l’alba sul mare.

Nonostante la notte all’addiaccio, il tempo è passato. Al porto nuovo, m’imbarco su uno dei tanti traghetti che vanno al Pireo. Al porto di Tinos, i pellegrini della Madonna dell’Annunciazione, dopo il rituale liturgico, assalgono la nave come locuste. Sembra un esercito impazzito di lanzichenecchi. Ognuno si arrangia come può, conquistando ogni angolo di nave e razziando le poche sedie disponibili. Qualcuno approfitta dei dormiveglia e sottrae le poltrone, mentre i più violenti se le danno di santa ragione.

È proprio il caos, e per di più anche il mare è in burrasca. Ma nel marasma vi è ancora qualche speranza. Eccoli arrivare i salvatori della navigazione, i famosi venditori di lukumi (λουκουμι – dolciumi) e calvadopites (χαλβαδόπιτε – torroni) che placano a gran voce i pellegrini. Sembra un viaggio senza fine, ma per fortuna arrivo al porto di Ermoupoli e trovo Marta.

Eccomi a Syros

Attrae e seduce questo gioiello dell’Egeo, modellato come un grande ferro di cavallo, dove spuntano qua e là villaggi coloratissimi a pelo d’acqua, rocce e anfratti che al tramonto si tingono di rosa purpureo, mentre sullo sfondo compaiono acque limpide.

È un susseguirsi di anfratti silenziosi di inusitata bellezza. Lidi di borotalco e bagnasciuga dalle sfumature sorprendenti. Le spiagge variano dalle sabbiose bianche, che ricordano i Caraibi, ai piccoli golfi scavati nella roccia. Proprio nelle vicinanze di Vari, nel comune di Mega Gialos, vi è una minuscola baia, da raggiungere con pinne e maschera. È un angolo di paradiso, vi sono degli alberi di tamerici e si possono osservare degli antichi muretti a secco, testimonianze del glorioso passato isolano. Questo e altro è Syros, la gemma pietrosa, illuminata e scaldata da un sole intenso che splende per buona parte dell’anno, rinfrescata da una brezza estiva (meltemi), che talvolta fa imprecare i turisti. Scenari che hanno incantato non solo artisti, ma anche i militari italiani impiegati nella campagna di Grecia e poi del Dodecanneso, durante la Seconda Guerra Mondiale.

Proprio il padre di Marta, il carabiniere reale Ernesto Piccin, è al centro di una lunga e travagliata storia che lo lega inevitabilmente al destino dell’isola. Un racconto dal lieto fine imperniato sul profondo sentimento per la bella isolana Agnese Macrionitu. Un calvario dalle mille peripezie, per un amore troppo lontano, mai dimenticato. Un sentimento che non conosce distanze, che approda alla ricetta segreta dell’amore. Un legame dalle emozioni forti, che sfocia nel matrimonio diversi anni dopo.

Qualcuno mi disse “Chi torna da un viaggio non è mai la stessa persona che è partita”. La vita del Piccin cambiò radicalmente dopo quell’esperienza imposta dalla guerra. Ernesto Piccin (classe 1920), carabiniere a piedi dell’Arma, partì il 25 ottobre 1940 per il fronte greco-albanese. L’Italia pretendeva di occupare una serie di luoghi strategici per “garantire la neutralità della Grecia”. Le forze italiane erano schierate dal mare Adriatico verso l’entroterra greco. Sul confine greco-albanese penetravano gli schieramenti della 6^ Divisione fanteria “Cuneo” supportata dalla 17^ sezione Mista Carabinieri. Il Carabiniere Piccin, mobilitato nella 17^ sezione Mista Carabinieri, partì dal porto di Brindisi il 27 dicembre 1940, raggiungendo il porto di Valona (Albania) il 3 gennaio 1941. Come motociclista porta ordini, espletò incarichi molto delicati sullo scacchiere greco, fino a quando, nel luglio 1941, venne trasferito nell’isola di Syros, in uno degli ultimi territori conquistati del regime del Littorio. Infatti, i tedeschi con una blitzkrieg (guerra lampo) avevano costretto le forze greche alla definitiva capitolazione, cosicché l’Italia allargò la propria egemonia sull’Egeo, visto che già dal 1912 possedeva l’isola di Rodi e altre Sporadi meridionali, conquistate in una brillante operazione tattica, che la storia militare italiana definisce l’unico grande sbarco mai realizzato dalle nostre forze armate.

Così Ernesto Piccin raggiunse Ermoupoli, chiamato a presidiare una inutile isoletta greca, priva di alcuna importanza strategica. Tuttavia quella sperduta destinazione non era completamente da buttare, visto che, fra il sole e il mare, non esistevano nemici e la guerra rimaneva lontana. L’isola era bella, la gente divertente, il sole caldo e il vino buono, per non parlare delle donne greche così belle e seducenti. Con una lettura a posteriori, sembrerebbe quasi di rivivere le scene del premio Oscar Mediterraneo di Gabriele Salvatores.

Ed è in questo contesto che nacque la parte romantica della storia: Ernesto in compagnia di un amico camerata, passando per Vari, scrutò una donna che, in segno di disprezzo, gli mostrò la lingua. Il gesto scatenò dapprima l’ira del carabiniere, subito placata dall’imprevedibile “colpo di fulmine” per quella donna. Ernesto riuscì a conquistarla, pur sapendo pronunciare solo la parola S’agapò (ti amo in greco), promettendosi suo sposo.

Ma le insidie erano dietro l’angolo e il cammino per consacrare quel matrimonio si complicò vistosamente. A seguito dell’armistizio di Cassibile dell’8 settembre 1943, Ernesto venne colto dalla malasorte. I tedeschi, che consideravano tutti gli italiani traditori, provvidero ad arrestarlo, internandolo in un campo di prigionia. Ma Ernesto, spinto dalla voglia di rivedere Agnese, riuscì a fuggire sulle alture di Cashià, in un’area partigiana, nei pressi di Atene.

Le avversità però non erano finite. Nell’ottobre del 1944, dopo quasi un mese di latitanza, Ernesto venne nuovamente catturato, questa volta dagli inglesi, e trasportato nel campo di Gudy. Da qui la deportazione nel campo di Geneifa e poi in quello di Suez in Egitto. Nonostante la prigionia, l’amore non si infranse e continuò in un bellissimo rapporto epistolare, fino a quando, a guerra conclusa, Ernesto rimpatriò (21 luglio 1946) coronando la sua promessa. Sposò Agnese per procura, fino a quando, nel 1951, decisero di celebrare anche l’unione religiosa, dando suggello definitivo alla loro storia.

 

Il viaggio che ho effettuato si è svolto nell’agosto 2013.

Fonti:

Il Giornale delle Cicladi anno 1941; Wikipedia l’enciclopedia libera; http://www.dodecaneso.org; Biblioteca Comunale di Ermoupoli; Testimonianza di Marta Piccin.

Ringraziamenti:

Marta Piccin, Biblioteca Comunale di Ermoupoli

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