La Superlega ucciderà il calcio? No, è già morto

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redazione

19 Aprile 2021
Reading Time: 4 minutes

Sport e show business

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Sei club inglesi (Arsenal, Chelsea, Liverpool, Manchester City, Manchester United, Tottenham), tre club spagnoli (Atletico Madrid, Barcellona, Real Madrid) e tre club italiani (Inter, Juventus, Milan) hanno comunicato oggi di essere tra i soci fondatori della nuova Superlega europea.

Decisione che ha scatenato il pandemonio a livello istituzionale (Uefa e Fifa annunciano ricorsi e minacciano sanzioni), mediatico e popolare.

Nel frattempo il colosso finanziario statunitense JP Morgan ha annunciato che finanzierà la nuova Superlega con 3,5 miliardi di dollari, che verranno spartiti tra i 15 soci fondatori (oltre ai 12 club sopra citati, infatti, nei prossimi giorni si aggiungeranno altri 3 – due tedeschi, tra cui il Bayern, e uno portoghese).

La Superlega, destinata a partire “quanto prima”, coinvolgerà inizialmente 20 squadre in tutto (oltre alle 15 appartenenti per diritto, ogni anno ne verranno invitate altre 5) e le sue partite dovrebbero disputarsi infrasettimanalmente, lasciando i weekend per disputare i campionati nazionali.

A venire travolte, all'inizio, saranno quindi le tradizionali competizioni europee: Champions League, Europa League e la neonata Conference League (dovrebbe partire con la prossima stagione). Se poi la Superlega si espanderà anche i campionati nazionali saranno rivoluzionati.

La stragrande maggioranza degli addetti ai lavori quest’oggi è salita sulle barricate affermando che la Superlega ucciderà il calcio e il merito sportivo. Solo i club più ricchi potranno disputare questo campionato destinato ad attrarre la stragrande maggioranza degli interessi: quelli dei tifosi e degli sponsor in primis. Due elementi – tifosi e sponsor – strettamente correlati nell’evoluzione di questo progetto.

Perché accorgersi ora che il calcio non è uno sport dove viene premiato il merito, ma uno show business in cui bisogna attrarre consumatori che facciano girare gli affari senza soluzione di continuità, vuol dire essere vissuti sulla luna fino a oggi.

Il merito, nel calcio europeo per club, era già venuto meno nel 1997, quando la Coppa dei Campioni (già trasformata nominalmente in Champions League cinque anni prima) aprì non solo alle squadre vincitrici dei campionati nazionali, ma anche alle seconde dei principali campionati europei (non tutti), per poi estendere la partecipazione addirittura alle prime quattro dei principali tornei nazionali.

Tradotto, squadre che non avevano vinto un campionato per anni si ritrovavano a giocare la “Lega dei Campioni”, senza che nessuno si domandasse: campioni di cosa?

Per non parlare dei ranking Uefa, secondo cui chi vince il campionato in una nazione non di élite, deve prima aggiudicarsi una serie di turni preliminari per poter raggiungere la “Lega dei Campioni”, dove invece ci troverà per diritto squadre a cui è bastato piazzarsi quarte in un campionato più ricco e famoso.

Dire oggi quindi che la Superlega trasformerà il calcio in uno sport solo per ricchi è anacronismo dei più sempliciotti.

Il calcio da tempo non va più considerato come uno sport legato al merito. Ma come uno show business a 360 gradi. Nel quale potenze miliardarie (siano esse espressione di sceicchi mediorientali, fondi americani o cinesi, e altro ancora) investono pesanti quantitativi di denaro affinché venga prodotto altro denaro.

E nel mondo globalizzato, il tifoso consumatore non conosce più patria: perché esistono molti più milanisti, juventini e interisti nella sola Cina piuttosto che in Italia. E a questi club italiani – così come agli altri big europei – interessa produrre un prodotto che sia appetibile per quei tifosi, sparsi in tutti i continenti. Da anni, infatti, gestiscono a livello internazionale la propria comunicazione social multilingue e le proprie tv (Milan Channel, Juventus Channel, Inter Channel…): il tutto per avere un filo diretto con il tifoso consumatore.

La Superlega europea metterà insieme tutto questo, offrendo a una platea miliardaria di telespettatori (recenti studi hanno stimato che le 15 squadre fondatrici delle Superlega detengono il 75% dei supporters nel mondo) le partite tra i giocatori più forti, che a suon di contratti milionari solo poche squadre elette potranno permettersi.

Il calcio, in realtà, arriva tardi all’appuntamento. Negli USA il basket (NBA), il football americano (NFL) e il baseball (Major League) sono già strutturati così da anni. Il mondo dei motori idem: sia in Formula 1 che in MotoGP le scuderie non retrocedono o non lasciano spazio ad altri per meriti sportivi. Se hanno tifosi e telespettatori, ergo consumatori e sponsor, saranno sempre della partita.

Perché nell’economia globale falcidiata dal Covid, fare soldi resta il mantra. E nel mondo del calcio, dove i club sono società per azioni quotate in borsa, la regola vale doppiamente.

Scandalizzarsi nel 2021 perché il calcio è diventato un business miliardario e non più uno sport meritocratico è quanto meno una reazione a scoppio ritardato. Così come dipingere Uefa e Fifa quali povere vittime dei ricatti di avidi club.

Il prossimo anno i Mondiali – organizzati dalla FIFA – si disputeranno in Qatar. Per garantire lo svolgimento dell’evento in mezzo al deserto, per la prima volta nella storia, i campionati del mondo si disputeranno a dicembre, stravolgendo calendari, campionati nazionali e competizioni europee. Nel frattempo nei cantieri dei nuovi stadi qatarioti si continua a registrare un numero altissimo di morti tra gli operai costretti a lavorare in condizioni di sicurezza penose, sotto temperature torride.

Secondo voi, quale motivazione ha dato il via libera all’assegnazione del principale evento sportivo mondiale a questo emirato? Il merito sportivo o il denaro frusciante?

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